Alcune organizzazioni femministe francesi hanno lanciato una campagna di sensibilizzazione per l'abolizione, nel linguaggio pubblico, della distinzione fra "signora" e "signorina". Questa distinzione, hanno fatto notare, è retaggio di un'epoca in cui la donna non era considerata umanamente e socialmente completa senza un uomo accanto: epoca da cui avremmo effettivamente il dovere di prendere le distanze ("Mai più signorine. Le francesi in rivolta").
"Signorina" non è certo l'ultimo fra i tanti sedimenti lasciati dal passato, spesso recentissimo, di sessismo e diseguaglianze. Oggi apparentemente innocue e depotenziale, questa sequenze di suoni che rimandano ad un passato triste aleggiano frequentemente come fantasmi nel linguaggio e nelle pratiche quotidiane: dal "ti porto fuori a cena" (come se si avesse a che fare con oggetti), alle donne confinate (quando i passeggeri sono più di due, salvo asimmetrie siderali) nel sedile posteriore dell'automobile.
Normalmente, tuttavia, questi modi di dire e di fare non implicano più alcuna attitudine discriminatoria. Da un lato, l'abitudine ad utilizzare un linguaggio più o meno politicamente corretto è assolutamente positiva (perché promuove una visione della società corretta, escludendo dall'orizzonte anche linguistico gli atteggiamenti retrogradi) ma non implica necessariamente un atteggiamento più illuminato nella pratica; dall'altro, i modi di dire e di fare suddetti non sono spesso nemmeno percepiti come "politicamente scorretti" dalle diverse interessate. La discriminazione, quindi, sta altrove: forse non è poi così sensato investire energia per polemizzare, in punta di etimologia (disciplina tra l'altro un po' pedante e parecchio naive), con quelle che sono ormai semplici sequenze di suoni?
Forse mi sbaglierò; forse l'uso del termine "signorina" apre effettivamente una ferita nella dignità delle donne ogni volta che viene pronunciato. Ed in effetti, confesso che utilizzo e forse continuerò ad utilizzerare questo termine con un crescente consapevole disagio. Tuttavia, mi verrebbe da lanciare una provocazione in senso opposto: piuttosto che asportare, salvaguardiamo (e usiamo consapevolmente) questi retaggi ormai impotenti del passato maschilista nel linguaggio. Perché? Per ricordarci da dove veniamo (e dove stiamo andando).
In effetti, l'intero linguaggio umano non è altro che la sedimentazione e la contaminazione di modi di dire che hanno mutato nel corso del tempo il loro significato (e che anche per questo sarebbe inutile e sbagliato oltre che impossibile estromettere). Sedimenti che hanno il vantaggio di ricordarci da dove veniamo: da quali battaglie, da quali progressi, da quali esperienze, da quali vittorie ancora da completare. Asportare questi sedimenti non sarebbe una positiva rivoluzione culturale: sarebbe un distogliere lo sguardo da una vittoria (il superamento delle discriminazioni sottese al linguaggio), e più in generale da una realtà di cui non si comprende la natura dinamica.
Se i fantasmi del maschilismo vogliono continuare ad annidarsi nel linguaggio quotidiano, quindi, che facciano pure: non faranno altro che accrescere in noi la consapevolezza che tanto è cambiato, e che tanto rimane ancora da conquistare.