Visualizzazione post con etichetta femminismi. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta femminismi. Mostra tutti i post

martedì 4 ottobre 2011

Per la conservazione del maschilismo nel linguaggio

Alcune organizzazioni femministe francesi hanno lanciato una campagna di sensibilizzazione per l'abolizione, nel linguaggio pubblico, della distinzione fra "signora" e "signorina". Questa distinzione, hanno fatto notare, è retaggio di un'epoca in cui la donna non era considerata umanamente e socialmente completa senza un uomo accanto: epoca da cui avremmo effettivamente il dovere di prendere le distanze ("Mai più signorine. Le francesi in rivolta").

"Signorina" non è certo l'ultimo fra i tanti sedimenti lasciati dal passato, spesso recentissimo, di sessismo e diseguaglianze. Oggi apparentemente innocue e depotenziale, questa sequenze di suoni che rimandano ad un passato triste aleggiano frequentemente come fantasmi nel linguaggio e nelle pratiche quotidiane: dal "ti porto fuori a cena" (come se si avesse a che fare con oggetti), alle donne confinate (quando i passeggeri sono più di due, salvo asimmetrie siderali) nel sedile posteriore dell'automobile

Normalmente, tuttavia, questi modi di dire e di fare non implicano più alcuna attitudine discriminatoria. Da un lato, l'abitudine ad utilizzare un linguaggio più o meno politicamente corretto è assolutamente positiva (perché promuove una visione della società corretta, escludendo dall'orizzonte anche linguistico gli atteggiamenti retrogradi) ma non implica necessariamente un atteggiamento più illuminato nella pratica; dall'altro, i modi di dire e di fare suddetti non sono spesso nemmeno percepiti come "politicamente scorretti" dalle diverse interessate. La discriminazione, quindi, sta altrove: forse non è poi così sensato investire energia per polemizzare, in punta di etimologia (disciplina tra l'altro un po' pedante e parecchio naive), con quelle che sono ormai semplici sequenze di suoni?

Forse mi sbaglierò; forse l'uso del termine "signorina" apre effettivamente una ferita nella dignità delle donne ogni volta che viene pronunciato. Ed in effetti, confesso che utilizzo e forse continuerò ad utilizzerare questo termine con un crescente consapevole disagio. Tuttavia, mi verrebbe da lanciare una provocazione in senso opposto: piuttosto che asportare, salvaguardiamo (e usiamo consapevolmente) questi retaggi ormai impotenti del passato maschilista nel linguaggio. Perché? Per ricordarci da dove veniamo (e dove stiamo andando).

In effetti, l'intero linguaggio umano non è altro che la sedimentazione e la contaminazione di modi di dire che hanno mutato nel corso del tempo il loro significato (e che anche per questo sarebbe inutile e sbagliato oltre che impossibile estromettere). Sedimenti che hanno il vantaggio di ricordarci da dove veniamo: da quali battaglie, da quali progressi, da quali esperienze, da quali vittorie ancora da completare. Asportare questi sedimenti non sarebbe una positiva rivoluzione culturale: sarebbe un distogliere lo sguardo da una vittoria (il superamento delle discriminazioni sottese al linguaggio), e più in generale da una realtà di cui non si comprende la natura dinamica.

Se i fantasmi del maschilismo vogliono continuare ad annidarsi nel linguaggio quotidiano, quindi, che facciano pure: non faranno altro che accrescere in noi la consapevolezza che tanto è cambiato, e che tanto rimane ancora da conquistare.

martedì 13 settembre 2011

Diritto alla bellezza e vanità necessaria

La bellezza può essere considerata un nuovo diritto? Se lo sono chiesti, sollecitati dal Corriere della Sera ("La bellezza può diventare un diritto?"), diversi studiosi ed intellettuali italiani sollecitati a rispondere all'interessante articolo dell'antropologo Alexander Edmonds pubblicato sul New York Times ("A necessary vanity").

La domanda non è sciocca come potrebbe sembrare: l'arco dei diritti tende naturalmente ad espandersi includendo "diritti" che un tempo sarebbero sembrati assurdi. Sembra ragionevole prevedere che nei prossimi anni questo genere di dibattito non potrà che diventare più urgente: se la chirurgia estetica dovesse diventare veramente diffusa, il mancato accesso a queste misure (per motivi economici) potrebbe veramente tradursi in una sorta di handicap.

Entrando nel merito, tuttavia, affermare che esiste un diritto alla bellezza è estremamente astratto: come definire la "bellezza", e quindi i parametri minimi al di sotto dei quali intervenire? Lasciando la libertà totale agli individui di modificare l'aspetto del proprio corpo a spese dei contribuenti, o al contrario istituendo dei criteri oggettivi finendo quindi per fabbricare individui in serie? In un'epoca di contrazione della spesa pubblica entrambe le prospettive sono assolutamente improbabili; ma la questione sembra meritare una risposta.

E ancora: è giusto legittimare con affermazioni di questo tipo il successo della società dell'apparenza, o è forse il caso di continuare a fare controcultura per combattere ed incrinare la tirannia dell'immagine? Ancora: la chirurgia plastica (perché di questo si tratta) è veramente efficace per il miglioramento dell'autostima, o al contrario la bassa auto-stima si fonda su basi che vanno ben al di là della misura del seno o del numero di rughe?

Edmonds parla da antropologo: riconosce il fatto che, in un determinato contesto sociale, la poca bellezza preclude la mobilità sociale e si configura come un handicap. Ma fra questo e l'affermazione programmatica della bellezza come diritto ce ne passa; e spetta alla politica ed alla filosofia condurre il dibattito per trovare gli antidoti a questo inquietante paradosso.

mercoledì 6 ottobre 2010

Santanchè: Le liste chiuse? Fanno bene alle donne

Secondo Daniela Santanchè le preferenze sulle schede elettorali (al posto delle attuali liste chiuse scelte dai partiti) penalizzerebbero le donne. Secondo la Santanchè, intervenuta a Omnibus (La7, mercoledì mattina), le "campagne elettorali con le preferenze sono molto più costose"; le donne, tuttavia, "hanno normalmente molte meno risorse [economiche] da investire nelle campagne elettorali". In una competizione elettorale aperta le donne non avrebbero, secondo la nostra, i denari per guadagnarsi la visibilità: un buon motivo, sempre secondo la Santanchè, per conservare l'attuale legge elettorale.

Effettivamente il metodo-Stracquadanio è efficace soltanto quando a decidere sono in pochi.

martedì 28 settembre 2010

Boicotta Omsa e Golden Lady

Questo è il testo di una sorta di lettera aperta che ho inviato a Femminismo a Sud che ringrazio per lo spazio.

Vi scrivo dopo aver visto la puntata di Presa Diretta “senza donne” [potete guardarla per intero QUI]. Dal minuto 1.08.50 si parla, tra le altre cose, della situazione delle dipendenti Omsa e Golden Lady. Come saprete meglio di me Omsa è già finita nell’occhio del ciclone dopo aver delocalizzato lo stabilimento di Faenza (oltre che per le pubblicità sessiste). Ora salta fuori che Omsa è azienda “leader” anche nel comportamento anti-sindacale, negando alle madri le loro esigenze di part-time, flessibilità, asili aziendali.

Omsa è un’azienda italiana che ha costruito la sua fortuna sulle donne italiane. Ma Omsa, al contrario del suo slogan, non è amica delle donne. Da nessun punto di vista. Delocalizza, nega i diritti alle madri, nutre con i suoi spot un immaginario deprimente.

giovedì 20 maggio 2010

Michelle Obama e la retorica della first lady dal volto umano

Non ho mai provato simpatia per le first lady in visita di rappresentanza a scuole, orfanatrofi, ospizi e simili.

Primo, perchè queste passerelle mediatiche non sono altro che l'attualizzazione dei vecchi cocktail party per signore dell'alta società, espressioni di quella filantropia chic ed autocelebrativa, inconsistente ed ignorante, che ammansisce simulando un potere comprensivo e dal volto umano (e come fate ad essere ancora poveri, se anche le signore dell'alta società fanno il possibile per aiutarvi?).

Secondo, perchè non sopporto il modo in cui, per prendere qualche voto in più, si coccola la retorica piccolo borghese della famiglia Mulino Bianco e della donna materna, emotiva, affettuosa e comprensiva; della madre della nazione, dell'accessorio (ce l'hanno una loro vita, queste donne; ma la devono sospendere per recitare il ruolo delle dame) che sostiene discretamente e istintivamente il marito, e che magari sotto le lenzuola lo convince ad essere un pò meno spietato (dietro ai grandi uomini ci sono le grandi donne, mentre non si è mai sentito dire il contrario).

venerdì 14 maggio 2010

Baby leghiste. Il futuro nelle mani delle ragazze della porta accanto?

La forza della Lega (ma anche dei tanti partiti antropologicamente simili e speculari che stanno spopolando) sta nell'esprimere in maniera perfetta quello che la pancia del paese pensa. E non stupisce che la cosa funzioni tra gli anziani e tra gli adulti, ma soprattutto tra i giovanissimi: il parlare semplice, l'offrire risposte nette, il dividere il mondo in bianco e nero, il ricondurre ogni discorso a pochi slogan, l'elogiare la "saggezza" popolare e i consigli della nonna, è tanto più efficace tanto più l'ascoltatore è certo di avere già capito tutto (e senza sforzo) e di non avere nulla di complicato da imparare. E i giovani di provincia, in questo, non hanno nulla da imparare da nessuno.

Sono ragazze molto comuni, ad esempio, le giovani amministratrici leghiste che Repubblica e Unità si stanno divertendo a videointervistare. Vanno davanti alla telecamera con semplicità, e raccontano le prime cose che le passano per la testa: sono ragazze della porta accanto, spigliate e senza troppi fronzoli, e non si pongono nemmeno il problema di poter risultare inadeguate nel trattare temi di enorme spessore.

Come la posh consigliera comunale Ilaria Montecroci, che dondola le gambe mentre racconta che "ha paura delle altre culture", o come la baby pasionaria Irene Zanichelli che sogna ad occhi aperti, nella sua cameretta pitturata di verde, di potere un giorno raccogliere l'eredità di Calderoli. "Buona" visione

martedì 11 maggio 2010

Rasa il pratino. Blogger, ipnosi commerciali e depilazione intima

Ci sono molte forme di "pressione sociale", cioè di meccanismo che induce una persona a limitare la propria libertà conformandosi a richieste che provengono da altri, e che tipicamente sostengono l'interesse del più forte.

L'idea è sempre quella che sta alle spalle dell'atto di forza, della coercizione fisica, del forte che picchia il debole affinchè faccia la sua volontà. A cambiare è però soprattutto la forma, che rende tutto un pò più confuso e un pò più apparentemente naturale. Per capirlo, basta guardare questo spot mirato, pare, soprattutto alle giovanissime via Social Network.

venerdì 16 aprile 2010

Casa Vianello e il ruolo della donna

Massimo Gramellini riesce a estrarre dalla notizia della morte di Raimondo Vianello qualcosa di straordinariamente interessante: una riflessione sul modello di coppia che il comico, insieme alla moglie Sandra Mondaini, ha recitato sullo schermo negli ultimi decenni della sua carriera.

«L’immagine che lo consegna per sempre ai nostri ricordi è quella di un anziano gentiluomo in pigiama che a letto sfoglia la Gazzetta dello Sport, mentre accanto a lui la moglie soffia come un mantice, solleva le gambe a candela e borbotta "che barba che noia, che noia che barba". Di fronte all’attacco più grave che ogni maschio sia chiamato a fronteggiare - l’incapacità di suscitare passioni - Raimondo Vianello non si scusa né accusa. Si limita a lanciare uno sguardo in tralice, senza mai perdere di vista il giornale. Il matrimonio che resiste nel tempo, sembra suggerirci il suo silenzio, consiste nella gestione oculata dei litigi e degli scoppi improvvisi di noia».

Il dialogo, la mediazione, la trattativa, vengono sostituiti da un silenzio apparentemente mite ma in realtà perentorio: la coppia regge perchè si trova un compromesso, ma il compromesso pende tutto da una parte. Raimondo, il patriarca, continua imperturbabile a leggere il giornale; Sandra, "prende e porta a casa": sbuffa un pò, ma poi rinuncia alle sue vaghe rivendicazioni.
Un pò come nello spot sessista di Veneta Cucine, finito sotto la lente di Femminismo a Sud.

Alle radici della Misoginia. Adler legge Massimo Fini, e chiede (anche nell'interesse maschile) la fine del patriarcato

«La donna - come tutto quello che non possiamo ottenere sul campo - viene idealizzata e riveste le qualità magiche di forza e di potenza. La mitologia, i racconti e le credenze popolari, trattano spesso di una specie di gigante, di demone-donna, in cui l'uomo è rappresentato come un essere microscopico ed irrimediabilmente perduto. Si può ritrovare nella sovrastruttura psichica, sotto una forma o un'altra, un sentimento di timidezza in presenza delle donne, il timore di restar loro attaccati. Contro questa relazione psichica obbligatoria, che minaccia di subordinare un uomo ad una donna, [il misogino] dirige tutte le proprie tendenze difensive, rafforza la protesta maschile e le sue idee di potenza e grazie a queste stesse tendenze difensive disprezza la donna. Molto spesso appaiono nella sua fantasia e nella sua coscienza due tipi di donna: l'ideale e la realtà volgare, la madre e la prostituta».

«Leggendo attraverso le righe questo significa: "ho paura delle donne". Immediatamente in seguito a questo timore demoniaco della donna, della sua natura complessa e della sua eterna inesplicabilità, della sua forza che obbliga, troviamo nell'uomo un atteggiamento sia di disprezzo che di fuga».

E' incredibile come queste frasi, scritte dal padre della psicologia Alfred Adler nel lontano 1920, sembrino descrivere alla perfezione tanta di quella misoginia contemporanea riassunta in maniera emblematica nel controverso articolo di Massimo Fini sul Fatto Quotidiano di cui ho parlato qua.

mercoledì 31 marzo 2010

Non dare mai la mano a una donna afgana

Non è costume di questo blog riprendere pari pari interventi tratti da altre fonti. Questa volta però faccio un eccezione per questo bell'articolo, scritto da una giovane afghana e tradotto per l'Italia da Global Voices- La Stampa
-------------------------

Un giorno, durante la lezione di opinione pubblica, qualcuno busso' alla porta. Ci voltammo tutti per vedere chi stava entrando. Eravamo un gruppo di tredici donne e cinquanta uomini, tutti impegnati a prendere appunti durante la lezione.

«Si', avanti», fece il professore.

Entrarono due uomini in completo nero e andarono direttamente a stringere la mano all’insegnante. “As-Salamu Alaykum ,” disse il primo uomo. “Questo è Rakish, un mio collega. Veniamo entrambi dal Parlamento e lavoriamo per l’organizzazione NDI. Vogliamo informare lei e i suoi studenti che il Parlamento ha deciso di assumerne alcuni come praticanti.”

domenica 28 marzo 2010

Piccolo compendio di misoginia contemporanea (Massimo Fini sul Fatto Quotidiano)

Sabato 27, il Fatto Quotidiano se ne è uscito con un piccolo compendio di misoginia contemporanea a firma Massimo Fini: "Donne, guaio senza soluzione". Un articolo (tra l'altro riciclato) che, per quanto veramente offensivo (e quì veramente si fa fatica a difendere il Fatto Quotidiano, giudicando positivo il lasciar spazio a pensieri discutibili e politicamente scorretti: se c'è un limite, ci si è andati vicini), ci aiuta forse a entrare in contatto con quell'Italia profonda retrograda che tanto si fatica a trascinare nel secolo ventuno.

«Le donne sono una razza nemica» esordisce Massimo Fini, scrittore tra i più popolari nella rete (soprattutto tra le nuove destre ma non solo) e collaboratore fisso de Il Fatto, chiarendo subito la cornice del suo ragionamento. L'argomento è quello, sentito dai tempi delle Sirene di Omero in poi, per il quale le donne sono geneticamente irrazionali e subdole: hanno la lingua «biforcuta», ragionano «in maniera tortuosa», sono vigliacche, sono «totalmente inaffidabili» perchè non rispondono alla logica, alla ragione, ma solo al loro spirito dionisiaco e alle loro passioni vitali. «Per questo, per secoli o millenni, l’uomo ha cercato di irreggimentarla, di circoscriverla, di limitarla, perché nessuna società regolata può basarsi sul caso femminile». L'apologia del patriarcato in un paio di righe: l'"irregimentarla", il "circoscriverla" (sappiamo tutti, nei fatti, quali forme ha preso questa volontà), assume quindi una funzione "sociale". Quasi ci si aspetta che la donna debba ringraziare. 

Ma l'uomo di Massimo Fini è, in fondo, un essere troppo leale e troppo buono. Lei fa gli occhi dolci, e lo ricatta con l'arma sessuale: «al primo singhiozzo bisognerebbe estrarre la pistola - suggerisce Fini - invece ci si arrende senza condizioni». Secondo Fini è l'uomo il debole; lasciato da parte il suprematismo machista che vuole la donna "inferiore" tout court, il nostro sembra fondare la sua domanda esplicita di discriminazione corporativa sulla necessità di difendere l'uomo dalle manovre subdole della tirannide al femminile

venerdì 12 marzo 2010

Spot "femminista" e "ironico". Ma con le tette sempre in testa

inAdnKronos rilancia questa notizia, relativa a una campagna di comunicazione "ironica" made in Usa:

''Uomini, basta fissarmi il seno guardatemi negli occhi''. E questo il messaggio lanciato dall'attrice francese premio Oscar Marion Cotillard in un ironico spot in cui 'pubblicizza' un nuovo prodotto per le donne, le tette sulla fronte.


venerdì 12 febbraio 2010

I panni sporchi si lavano in casa? Così gli italiani tollerano la violenza domestica sui minori

Save the Children ha reso noto, negli scorsi giorni, un rapporto sull'utilizzo delle punizioni corporali in ambito domestico. I dati mostrano, tra l'altro, come un genitore su 4 afferma di utilizzare schiaffi o sculaccioni come metodo correttivo, come oltre il 50% affermi di utilizzare in casi giudicati estremi punizioni corporali e come ben l'81% dei genitori di bambini piccoli si dica disponibile a tollerare, dinanzi a un errore «eccessivamente grave da parte dei figli», l'utilizzo di una forma di punizione violenta, in particolare di uno schiaffo, da parte dell'altro genitore*.

Interrogati riguardo alla possibilità di introdurre una legge che vieti l'utilizzo delle punizioni corporali in ambito domestico, sulla scorta di quanto fatto da altri 15 stati UE, i genitori italiani hanno così risposto: per il 13% una legge di questo tipo sarebbe fondamentale, per il 26% potrebbe essere utile ma comunque non prioritaria, per il 39% sarebbe poco utile e aperta ad applicazioni ambigue. Il 22%, infine, non ne sente per nulla la necessità.
 
In sostanza, 1 genitore su 3 sarebbe favorevole ad uno stop per legge alla violenza domestica sui minori, pur giudicando in molti casi provvedimenti simili "non prioritari", mentre 2 genitori su 3 si dicono scettici, se non apertamente contrari, di fronte a questa "forma di ingerenza" da parte dello stato

giovedì 11 febbraio 2010

Falce, Martello e Tacco a Spillo. La donna oggetto per il bene del partito?

Qualche tempo fa, l'Unità se ne uscì con una campagna pubblicitaria, a cura di Oliviero Toscani, che suscitò non poche perplessità. Consisteva, nel dettaglio, in una zoommata sul lato B di una giovane donna, minigonna di jeans e maglietta rossa, nella tasca posteriore una copia dell'Unità.

La campagna fu, almeno a livello di visibilità, un successo: se ne parlò, e non poco, soddisfacendo in qualche senso l'idea un pò rudimentale per la quale "l'importante è che se ne parli". Ben più discutibili e variegati, però, i messaggi veicolati. Un giornale e soprattutto una cultura al passo con i tempi, in grado di dialogare con la società contemporanea in maniera libera e scanzonata? O al contrario un giornale e una cultura che insegue sul terreno della mercificazione della donna e del marketing a sfondo sessuale la superficialità e il velinismo che un tempo ambiva a contrastare?

sabato 9 gennaio 2010

«Dobbiamo difendere le "nostre" donne»?



L'hanno affermato anche ieri alcuni dei bravi uomini di Rosarno (immoratalati in questo video d'epoca in una loro antica danza tribale), facendosi forti davanti alle telecamere, le spranghe ed i bastoni sguainati contro gli ex schiavi ribellati ora braccati: «dobbiamo difendere le nostre donne».

Il discorso, sotto sotto, cade infatti sempre lì, sui vecchi retaggi tribali: le donne come una proprietà, come una dotazione, come un patrimonio collettivo. Le donne come costola, e come parte molle della società (ventri e bocche, mica menti ed ossa, in corpi esili e inermi) che gli uomini, i guerrieri, hanno il dovere di difendere. Difendere, naturalmente, dagli altri, dalle bande vicine (e un pò da loro stesse). Ma ne siamo veramente sicuri?

domenica 3 gennaio 2010

Non siamo tutti belli, anzi. Come liberarsi dalla Tirannia dell'estetica

("Il Pensiero Selvaggio" per FiloPop)

L’apparenza estetica è, forse come mai prima, fondamentale. Se da un lato ciascuno di noi sembra avere la consapevolezza che il proprio aspetto è in qualche modo cruciale, dall’altro i modelli proposti dai media tendono a diventare sempre più irraggiungibili, elitari, onerosi.

Anche per questo, un numero enorme di persone vive il proprio aspetto fisico con imbarazzo e disagio. Il confronto con i modelli televisivi è, per i più, proibitivo; ed anche laddove questo confronto viene di fatto negato in partenza, i modelli agiscono sulla percezione facendoci sentire un po’ più “brutti” ed un po’ più diversi di quello che in realtà siamo, almeno rispetto alla media nazionale, e facendoci in qualche modo pesare questa mancanza presunta. In un modo o nell’altro, quasi nessuno si sente completamente “a posto”.

Allo scopo di contrastare questa tirannia dei modelli estetici, liberando le persone dal disagio legato all’apparenza, sta emergendo all’interno della stessa “cultura pop” una sorta di nuova prospettiva che sostiene pressappoco questo: “Siamo tutti belli”, o “tutti lo possiamo diventare”.

sabato 26 dicembre 2009

Saggio/ La Servitù diffusa e il Deficit Repubblicano

In un recente post, il bel blog Femminismo a Sud denuncia il sessismo latente nella nuova pubblicità di Alitalia. La critica, assolutamente condivisibile, è dovuta al fatto che, di fronte alla «disponibilità, al sorriso, alla subordinazione e all'atteggiamento da geisha» tenuto dalla hostess, il protagonista ha il coraggio di rimpiangere il fatto che la moglie, a casa, non si comporti esattamente così.

Riguardando lo spot, mi è risultato però inevitabile andare oltre. Quanto risulta odioso, indipendentemente dalla variabile di genere, l'atteggiamento del protagonista che gode nel pretendere dalla hostess (con un atteggiamento vagamente arrogante) del cibo, qualcosa da bere, una copertina ed il "cuscino morbido", per poi sorridere compiaciuto dei servigi ottenuti?

mercoledì 23 dicembre 2009

Etnografia / «Ciccia è bella»? Tra suggestione e camuffamento

«Ciccia è bella» è il titolo di un nuovo programma proposto in prima serata da Italia 1 che tratta il disagio
provato dalle donne in sovrappeso all'interno una società che propone un modello di femminilità legato alla magrezza ed alla tonicità. Basato su storie vere, il nuovo reality propone in ogni puntata diverse storie nelle quali la protagonista, partendo da una situazione di totale non accettazione del suo corpo, viene condotta attraverso una serie di rituali e di appuntamenti con esperti ad uno stato di maggiore apprezzamento della propria forma esteriore, come nella migliore delle fiabe.

Pur partendo da una premessa interessante (per quanto banale) quale l'idea che i modelli proposti dai media agiscano in un modo tirannico sulle donne producendo in tutte coloro che non rispettano i canoni estetici irreali varie forme di disagio, il programma è figlio dello stesso clima di superficialità che dice di voler criticare e si risolve, naturalmente, in un qualcosa che sta a metà tra una grottesca sequela di tentativi di ipnosi collettiva ed un'esposizione surreale di "freaks" (cioè di "fenomeni da baraccone").

mercoledì 11 novembre 2009

Saggio / Maria Stella Gelmini e la mezza battaglia contro la maternità all'italiana

La Ministra dell'Istruzione Maria Stella Gelmini è incinta. E per rassicurare l'intervistatore ed i lettori de Il Giornale, se ne è uscita con questa frase apparentemente banale, in realtà estremamente significativa: «Molto più difficile essere una brava madre che un buon ministro». Questa frase, pur tra tante buone intenzioni, è importante (e in parte grave) per almeno due ragioni.

In primo luogo questa frase rafforza e incoraggia una visione della maternità molto italiana: totale, soffocante, morbosa. In secondo luogo, questa frase svilisce, banalizza, demolisce la politica, il Ministero, il suo stesso lavoro, ed ogni forma di auto-realizzazione complementare o alternativa alla maternità all'italiana.

«Molto più difficile essere una brava madre che un buon ministro»? Veniamo con ordine.