mercoledì 11 novembre 2009

Saggio / Maria Stella Gelmini e la mezza battaglia contro la maternità all'italiana

La Ministra dell'Istruzione Maria Stella Gelmini è incinta. E per rassicurare l'intervistatore ed i lettori de Il Giornale, se ne è uscita con questa frase apparentemente banale, in realtà estremamente significativa: «Molto più difficile essere una brava madre che un buon ministro». Questa frase, pur tra tante buone intenzioni, è importante (e in parte grave) per almeno due ragioni.

In primo luogo questa frase rafforza e incoraggia una visione della maternità molto italiana: totale, soffocante, morbosa. In secondo luogo, questa frase svilisce, banalizza, demolisce la politica, il Ministero, il suo stesso lavoro, ed ogni forma di auto-realizzazione complementare o alternativa alla maternità all'italiana.

«Molto più difficile essere una brava madre che un buon ministro»? Veniamo con ordine.


Certo siamo in Italia. Dove l'allevamento della prole è ancora la vera Missione della donna, dove i figli sono oggetto di attenzioni morbose, dove è sempre colpa dei genitori. Dove il cordone ombelicale non deve essere reciso, perchè tutto il vero nutrimento di cui il pargolo avrà bisogno potrà essergli dato solo dal genitore. Dove la madre è lasciata sola, e se osa (o deve) mantenere una propria vita autonoma incontra difficoltà inenarrabili e sempre con il dubbio di non svolgere al meglio il proprio "vero" ruolo.

E' quindi più che naturale che il Ministro abbia dovuto scatenare, in questo modo, una piccola guerra preventiva contro coloro che, presto o tardi, la additeranno come una donna incapace di dare al figlio quella più completa e morbosa attenzione che gli italiani continuano a giudicare benefica e necessaria. "Immaginate quel povero bimbo, che la mamma non potrà mettere a letto ogni sera! Che riceverà la pappa da chissà quali mani sconosciute! Vivrà nella freddezza, nell'insensibilità, nel dolore! Avrà il tempo la Ministra per plasmarlo e per plagiarlo a dovere? Per insegnargli le preghiere, per commentare con lui il telegiornale, per metterlo sulla buona strada, per insegnargli la cucina, il bricolage e l'educazione sessuale?".

Appunto siamo in Italia. Dove il figlio che non viene tenuto costantemente umido dal fiato di due genitori (sostituibili per brevi periodi e con giustificazione da un religioso) è destinato a perire, nell'immaginario, tra siringhe, misantropia e disoccupazione. Dove il figlio deve essere l'orgoglio o la vergogna per eccellenza del genitore.

Ed anche Maria Stella, come noi, vive in un paese che non si convince che è la qualità e non la quantità di una presenza a dare valore. Che non vuole capire che anche il figlio è un individuo, e non una propaggine del genitore. Che non si convince che una donna impegnata, con cultura sensibilità e risorse, saprà dare al figlio più di una qualsiasi casalinga disperata (a partire, se non altro, dall'esempio). Che non accetta il fatto che l'individuo non nasca soltanto per diventare a sua volta genitore. E che in parte, producendo pregiudizi, politiche e sensi di colpa, fa in modo che tutte queste opinioni agiscano sulle donne come vere.

Il gesto di Maria Stella, la scelta di vivere la maternità senza trascurare il lavoro, è quindi in questo contesto un gesto coraggioso ed ammirevole. Atteggiamento troppo coraggioso e troppo progressista, forse, anche per la Ministra che si è sentita subito in dovere di rassicurare ricordando che non esiste che la maternità, e che tutto il resto è secondario.

Figuriamoci poi la politica, che è una cosa così banale! Per ribadire il primato assoluto ed universale della maternità, quasi a scusarsi di fronte agli altri e di fronte alla sua coscienza, la Ministra ha infatti demolito la politica e le altre forme di auto-realizzazione.

Ricordiamo a Maria Stella quali sono i compiti di un Ministero dell'Istruzione? Il suo compito è quello di creare le condizioni affinchè sia garantita a tutti, indipendentemente dalle condizioni di partenza, un'educazione in grado di produrre Donne e Uomini migliori garantendo sia ad essi sia alla collettività un domani migliore, libero, completo.

E se questa missione, che è oggettivamente vaga, enorme ed agghiacciante ma anche stupenda, non è nulla in confronto alla sfida della maternità... che ne rimane del lavoro e dell'autorealizzazione della donna "comune"? Se nemmeno questo può essere paragonabile alla maternità, che ne è del farsi strada, del realizzare qualcosa, del frequentare gente, dell'imparare ogni giorno on the job magari in un ufficio o in una piccola azienda qualcosa di nuovo, insomma di tutto ciò che può dare anche alla donna il lavoro e l'autorealizzazione?

L'attività nel mondo, per contrasto, è inoltre così facile e così banale? La politica è una cosa così semplice? Banale? Un impiego come un altro? Qualcosa che tutti possono fare nei ritagli di tempo?

Siamo tutti d'accordo che la genitorialità sia un'avventura complessa, gratificante e frustrante, impegnativa e zeppa di responsabilità. Pur riconoscendo, nonostante questo, che essa non richiede una dedizione totale e che anzi molte delle attenzioni considerate necessarie sono benefiche soltanto per il genitore. Maria Stella Gelmini poteva evitare, quindi, una dichiarazione che svilisce il ruolo della politica e dell'amministrazione ma anche del lavoro e dell'autorealizzazione in generale, ribadendo che il luogo per eccellenza della donna è comunque il focolare. Avrebbe potuto, se non fosse ancora immersa nella cultura della maternità totale, soffocante, morbosa, cioè all'italiana.

O forse tutte le congetture fin quì esposte potrebbero essere errate: Maria Stella ha forse solo voluto dire che nessuna madre potrà mai avere l'impressione di aver fatto tutto il suo dovere? Lo speriamo. Certo, però, la cosa dovrebbe valere per ogni cosa, Ministero compreso. E comparare la maternità al lavoro ed alla politica, mettendo tutto sui piatti di una stessa bilancia, è improprio ed insultante per ciascuno di questi settori. Proporre questo paragone è fondamentalismo: serve solo a innalzare uno di essi a universale, spezzando il giusto equilibrio. Questo paragone, insomma, non dovrebbe esistere. Ma certo, siamo in Italia...

Come comparare ciliegie e meloni? I sostenitori dei meloni promuoveranno il confronto, dicendo che ciò che importa è il peso. I sostenitori delle ciliegie promuoveranno il confronto, dicendo che ciò che importa è il sapore. Tutto ciò, però, non ha senso: si tratta di prodotti diversi, che una dieta equilibrata deve sapere alternare.

Se davvero, come plausibile, la Ministra non ha fatto altro che ribadire di fatto che la maternità in fondo è l'unica e la vera cosa, pur annunciando di voler proseguire la carrera professionale e politica, speriamo sinceramente che si possa liberare da questa contraddizione. Per risolvere la dissonanza cognitiva che potrebbe agitarla, cioè la causa psicologica della depressione, certo. Ma soprattutto per dare in maniera esplicita, almeno in questo, un suo contributo alla liberazione delle donne e dei loro figli.

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