sabato 14 novembre 2009

Saggio / L'allarme sociale: Ignazio La Russa e la Morfologia della fiaba

Morfologia della Fiaba è il titolo di un lavoro, pubblicato dal russo Vladimir Propp, nel 1928. In questo celebre studio Propp provò a mostrare come le narrazioni, dietro una grande complessità di sfumature, nascondano in realtà una struttura stabile ed elementare: un set finito di ruoli e di eventi posti in relazioni e in successioni costanti. La forza della fiaba sta quindi anche in questo: riprodurre strutture riconoscibili e superficiali, che rassicurino semplificando la complessità del mondo per trasmettere anche a un bambino una sensazione e, attraverso essa, un messaggio elementare.

Queste strutture e queste paure, per funzionare in una fiaba risultando convincenti, devono essere in intima connessione con l’emotività elementare e animale dello spettatore. Complessità, sfumature e ragionamenti astratti sono nemici della fiaba, perché invece che assecondare la pigrizia mentale del bambino gli provocano mal di testa e senso di confusione.

Proprio in questi giorni il mondo politico è impegnato a discutere una legge che dovrebbe porre un limite alla durata dei processi annullando tutti quei procedimenti che non si concludono nei tempi stabiliti.
Cioè assolvendo coloro che potrebbero aver commesso un reato a causa della lentezza strutturale della macchina giudiziaria.

Ma niente paura: vi sono alcuni reati che potranno continuare ad essere perseguiti anche all’infinito, per assicurare la certezza della pena. Questi reati considerati “più gravi” sono giudicati tali dalle bozze sulla base di tre requisiti. Uno: L’indagato deve essere potenzialmente recidivo, quindi non incensurato. Due: Il crimine deve provocare “allarme sociale”. Tre: Il crimine deve avere una vittima identificabile. Tutto ciò è stato ribadito, qualche sera fa, dal ministro Ignazio La Russa. Il quale ha ricordato i cardini di questo modo, d’altra parte diffuso, di intendere la giustizia. Cosa c’entra tutto ciò con la fiaba?

Tutto ruota attorno all’allarme sociale. Cosa significa “allarme sociale”? Un crimine che provoca allarme sociale è un crimine che risponde a una struttura stabile e elementare, ed il cattivo che provoca allarme è come l'antagonista della fiaba: è brutto, diverso e minaccia in maniera diretta. Un crimine che provoca “allarme sociale”, inoltre, è un crimine di cui i media e la gente parlano, non un crimine oggettivamente più grave. Anzi, è generalmente vero il contrario.

L’allarme sociale è semplicemente il risultato di uno stato emotivo e soggettivo, che ha a che fare con una paura diretta, immediata, legata all’incolumità, in parte naturale (fondata su timori inconsci) e in parte istigata dalle narrazioni della politica e dei media. Ha infatti a che fare con la prossimità, con il contatto, con la pancia, con il senso di vulnerabilità, con le paure inconsce e ataviche, animali, nonché con le psicosi di natura mediatica. L’allarme sociale è il timore che qualcuno ci possa dare uno schiaffo, o che ci possa uccidere, non che ci possa fare del male in un senso più ampio. E’ semplicemente, tra il male, quel male fatto direttamente di sangue, di dolore fisico, di lacrime. E’ semplice, standard e diretto: è il reato della fiaba.

L’allarme sociale ha a che fare con la nostra natura infantile propensa a sensazioni di tipo viscerale e ostile a ragionamenti di tipo astratto e complesso. Lo stesso vale per l’idea di reato con o senza vittima, secondo il quale vittima sarebbe soltanto colui che viene ferito fisicamente, in maniera diretta e dolorosa, con lo sguardo del cattivo negli occhi e il fiato nel naso, a subire un torto grave. Lo stesso si può dire per l’idea di non incensuratezza: colui che non è incensurato fa paura, va incastrato; chi lo è, è come noi. Perché disturbarlo: non assomiglia mica al criminale della fiaba!

Se dovessimo soppesare su una bilancia le conseguenze dei reati che provocano allarme sociale e le conseguenze dei reati che non lo provocano, però, queste ultime vincerebbero senza ombra di dubbio. Corruzione e danno ambientale, ad esempio, non provocano allarme sociale, e non hanno una vittima visibile. Ma provocano danni più grandi di qualsiasi scippatore (che provoca però allarme sociale): la corruzione, ad esempio, produce uno spreco di denaro pubblico, una frustrazione delle retoriche del merito e della giustizia, servizi inefficaci. C’è gente che perde ingiustamente il lavoro, e gente che si arricchisce senza merito drenando risorse ai danni di qualcuno. Ci sono meno risorse per le cose utili (tra cui servizi sociali e polizia per contrastare gli scippatori), ed un senso di degrado e di depressione generale che ha spesso conseguenze individuali.

Il fatto che tutto ciò accada lontano dallo sguardo non dovrebbe interessare, né generare una tolleranza maggiore. Certo, a causa della loro natura apparentemente astratta, questi crimini non provocano “allarme sociale”. Ma non per questo sono meno gravi: anzi. In più, lo stato dovrebbe dare una risposta forte per ricordare a tutti che ciò è grave e sbagliato anche se accade lontano dallo sguardo, lontano dalle strutture ataviche e fanciullesche della fiaba, lontano dalle strutture alla base dell’allarme sociale.

L’allarme sociale, in definitiva, è un concetto viscerale e emotivo: non è un criterio analitico sulla base del quale valutare la vera pericolosità di un reato.

E lo scopo della giustizia è quello di proteggere i cittadini, non di assecondare le loro paure viscerali. Assecondare le paure provoca risposte emotive ed inefficaci, perché non improntate alla realtà ma a una semplificazione istintiva prodotta sulla base del meccanismo fanciullesco della fiaba. E il fatto che queste risposte siano inefficaci, implica il fatto che i crimini continueranno e cresceranno. Cresceranno i crimini “dei colletti bianchi” e tutti i crimini che non provocano allarme sociale, sia perché di fatto depenalizzati sia perché trattati come meno gravi e quindi, implicitamente, autorizzati. Ma rischieranno di crescere anche i crimini che provocano “allarme sociale”: l’allarme sociale è una sensazione emotiva e soggettiva, e quando una classe dirigente è abituata a basare il proprio consenso sulla risposta mediatica all’allarme sociale, è difficile pensare che essa non continuerà a provocare nuovi allarmi da risolvere davanti alle telecamere. Il senso di vulnerabilità del fanciullo che c’è in ognuno è così sconfinato, fervido e facilmente suggestionabile, da garantire materiale fino alla fine dei tempi.

La corruzione fa più male, sotto ogni punto di vista, dei furti in appartamento o degli scippi. E fa anche più vittime: siamo tutti vittime. Politici, statisti e intellettuali dovrebbero essere foraggiati dalla società, dalla gente comune, per fornire risposte efficaci e razionali, nutrite dall’abilità analitica e dalla capacità di sguardo d’insieme per il quale sono pagati. Non dovrebbero assecondare i loro, i nostri, istinti atavici.

Certo, il diritto è sempre stato in realtà mosso dalle emozioni e dagli interessi dei gruppi dominanti. Dietro la retorica e il linguaggio freddo, distaccato, oggettivo, si sono sempre nascoste le paure e il potere. Fa però impressione il fatto che, oggi, ciò venga sbandierato serenamente alla luce del sole.

Forse, semplicemente, questa epoca ha già deciso. Piuttosto che affrontare la complessità della realtà, purtroppo, ha scelto continuare a vivere in una brutta fiaba.

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