C'è chi definisce i migranti giunti a Lampedusa profughi, c'è chi li chiama clandestini, e c'è chi dice che ci sono sia profughi che clandestini derivando distinzioni sostanziali tra gli uni e gli altri. Ma quale immaginario nutre (e quali approcci al problema sostiene), chi parla di profughi? E chi parla di clandestini? Qualcuno si sta sbagliando? E cosa sono, davvero, le persone che stanno sbarcando in questi giorni a Lampedusa?
Profughi
Chi parla di
profughi tende a rappresentare i migranti come oggetti passivi ed inermi,
malati, denutriti e
senza scarpe:
pulcini bagnati fuggiti - dopo aver perso tutto - da una situazione di conflitto (e finiti infine nelle grinfie del racket degli scafisti).
I profughi sono un peso, una seccatura, una piaga, un fardello, uno
tsunami umano; tuttavia è nostro
dovere umanitario, legale e/o morale, accoglierli, pulirli, nutrirli, prenderci cura di loro
("siamo un Paese civile e cattolico").
Livia Turco propone per i profughi una rete di case famiglia gestite da associazioni di volontariato, mentre la destra chiama in causa l'Europa affinchè condivida con noi questo costoso atto di
bontà necessaria. Ovviamente distinguendo la crusca dal grano buono ("sì ai profughi, no ai clandestini") se non altro per evitare che i soliti furbetti opportunisti (d'altra parte siamo tutti mediterranei) se ne approfittino per villeggiare e mangiare (e fumare) a sbafo.
Clandestini
Se i profughi sono vittime, gli opportunisti e i malintenzionati prendono il nome di clandestini. "Se avevi 1.500 euro da spendere per il gommone perché non te ne sei rimasto direttamente a casa?" I clandestini si confondono con i profughi, si spacciano per libici, approfittano dell'assenza di controlli sulle coste tunisine, sfruttano le maglie del diritto internazionale ed il nostro spirito umanitario per sbarcare sul suolo italiano. Tutto ciò costituisce reato, ma è anche il sintomo inconfutabile di intenzioni poco limpide. E l'arroganza del clandestino non si ferma certo qui: i clandestini pretendono invece di restare inermi ad aspettare, protestano e tentano addirittura di scappare. Chi non è giunto in Italia per estendere la rete del terrorismo islamico globale, e chi non si trasforma in manovalanza per la criminalità organizzata, fugge nelle metropoli del nord a rimpolpare le file dei clandestini/delinquenza locale.
Né profughi né clandestini
Gli immigrati che stanno sbarcando attualmente a Lampedusa, tuttavia, non sono né "profughi" inermi e passivi né clandestini malintenzionati. Essi sono semplicemente, nella stragrande maggioranza dei casi, giovani che si muovono alla ricerca di un futuro migliore, alla ricerca di successo e fortuna; persone che ci provano, che vogliono raggiungere un fratello o un amico, che cercano occasioni, che inseguono un sogno. Essi non chiedono accoglienza, e non vogliono essere rinchiusi (in una tendopoli, in una caserma o in una casa famiglia): essi vogliono arrivare nelle grandi metropoli europee, dove hanno contatti e spesso lavori informali che li attendono, per provare a costruirsi qui un segmento di vita.
Sarebbe sufficiente allentare la politica dei visti, stabilendo flussi in entrata credibili o meglio ancora concedendo dei permessi temporanei che assecondino il naturale flusso e deflusso delle persone funzionale - tra le altre cose - all'economia. Ma visto che tutte le porte legali sono a loro precluse, a questi ragazzi non resta altro che provare ad approfittare - come ogni estate - del mare calmo e dell'assenza di controlli sulle coste nordafricane.
Non che questa "avventura" sia piacevole per loro: ne sono già morti a decine e a centinaia in mare, molti languono (e languiranno) nei lager del sud Italia, molti altri sono stati acchiappati (ma niente paura, ragazzi: molto probabilmente verrete rilasciati col foglio di via). Ma la grande determinazione di questi ragazzi, avventurieri intraprendenti e ambiziosi che dovrebbero costituire un esempio per tutti i nostri pavidi e i nostri bamboccioni, non si ferma tuttavia nemmeno davanti a queste privazioni. I rischi enormi che corrono non sono altro che un sintomo del senso di urgenza e dell'intraprendenza che li muove; intraprendenza di cui abbiamo bisogno, e che costituisce per l'Europa ripiegata ed in declino una delle principali risorse di cui approfittare.