venerdì 29 aprile 2011

I rituali Indù e l'ecosistema di Jamaica Bay, Manhattan

Gusci di noce di cocco, candele votive, ceneri funerarie e statuette di divinità, donate alle acque secondo il rituale Indù sullo sfondo della skyline di New York. Accade a Jamaica Bay, parco acquatico protetto a due passi da Brooklin e dal Queens, luogo scelto dai tanti immigrati di origine Indù per compiere i loro rituali sacri incentrati sull'acqua in quanto elemento di contatto e di scambio con il vitale e con il divino. Con un piccolo problema: i fiori, i gusci, le statue e le stoffe abbandonate alle acque stagnanti di Jamaica Bay sporcano il paesaggio, disturbano i pescatori e gli appassionati di kayak, e sembrano mettere a repentaglio il fragile ecosistema marino.

La storia ed i tentativi di mediazione fra religiosi indù ed ambientalisti è raccontata magistralmente dal New York Times (Hindus Find a Ganges in Queens, to Park Rangers’ Dismay) - ci prova col "copia-traduci-incolla-e non citare!" anche Repubblica, ma omettendo diversi dettagli importanti. Colpisce, in particolare, come questo conflitto potenzialmente insanabile (tra esigenze apparentemente inconciliabili e tra opposti fanatismi) sia stato fin dall'inizio ridimensionato dalla propensione al dialogo ed alla reciproca compensione.

L'immagine dei fedeli indù (in buona parte discendenti degli indiani deportati in periodo coloniale nelle piantagioni caraibiche), figli della diaspora che hanno imparato ad essere flessibili anche sul piano religioso e rituale (abituati come sono a proiettare la sacralità sui luoghi, e non viceversa), che ripuliscono le spiegge insieme ad ambientalisti e ranger (è difficile pensare che i gusci di noce di cocco siano l'unico inquinante trovato in quelle acque) (e gli appassionati di kayak dove sono?), è probabilmente una delle immagini più belle e edificanti degli ultimi tempi.

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