Secondo il viveministro Roberto Castelli, della Lega Nord, il parlamento dovrebbe valutare l'idea di una legge che modifichi la costituzione inserendo il crocifisso nella bandiera nazionale. Il fatto che questa proposta arrivi dall'esponente di un partito che si è scagliato più volte sia contro la bandiera tricolore, sia soprattutto contro le idee di molti altri cristiano-cattolici, è estremamente istruttivo.
Secondo molti, infatti, il crocifisso andrebbe salvaguardato e tollerato perchè rappresenta un'etica e delle radici condivise o almeno condivisibili. Dopo tutto, si dice, il crocifisso non fa nulla di male e non insegna nulla di sbagliato; al contrario, propone valori (condivisi anche dai non credenti) sui quali si fonda d'altra parte anche lo stesso stato nonchè la convivenza civile che tutti auspichiamo. Infine, rappresenta qualcosa in cui ciascuno si può riconoscere: in fondo, anche se lo rifiutiamo, esso sta alla base dell'etica che desidereremmo che tutti seguissero.
Ma siamo davvero sicuri che il crocifisso possa simboleggiare un'etica e una radice? Siamo sicuri che possa davvero simboleggiare una cosa? E in caso, quale cosa?
Blog non allineato di Società e Culture in Movimento nell'Orizzonte del Finito
lunedì 30 novembre 2009
mercoledì 25 novembre 2009
Saggio / Topo Gigio, il ministro Bondi e la «matrice popolare della cultura»
La segreteria alla Presidenza del Consiglio ha preparato, a nome del governo, una campagna pubblicitaria attraverso la quale spiegare in maniera chiara e certa ai cittadini come affrontare la temuta epidemia di Influenza A. Per stemperare la tensione e per fornire un messaggio univoco, semplice ed affidabile, il governo ha scelto un testimonial di eccezione: Topo Gigio.
sabato 21 novembre 2009
Saggio / Ciascuno nel suo guscio. L'iPod come strumento di sterilizzazione
Le città, così come le province, sono sempre più spesso popolate da gruppi di ragazzi di origine straniera. Quando ne vedo, mi tornano in mente i ragazzi di periferia amati dai vecchi film di Pier Paolo Pasolini: immagini in bianco e nero di giovani minacciosi e inermi, disincantati e dolci, goffamente fuori posto tra i mostri, i crocifissi e le luci della vita moderna. Ciondolano spalla a spalla con le mani in tasca e l'aria di attendere, senza ormai alcun entusiasmo, chissà che cosa.
Ma i tempi cambiano: sullo sfondo non ci sono i campi ed i palazzoni della periferia romana, e la campagna da cui la metropoli ha strappato questi giovani scordati ai margini è spesso lontana molte migliaia di chilometri. Essi non strusciano più i piedi sulle strade sterrate, ma sui pavimenti lucenti dei centri commerciali o sulle strade sudice dei ghetti urbani. Ed i “ragazzi di vita” del secolo ventuno, passeggiando, hanno un'abitudine nuova: ascoltare la musica dagli altoparlanti del cellulare.
Ma i tempi cambiano: sullo sfondo non ci sono i campi ed i palazzoni della periferia romana, e la campagna da cui la metropoli ha strappato questi giovani scordati ai margini è spesso lontana molte migliaia di chilometri. Essi non strusciano più i piedi sulle strade sterrate, ma sui pavimenti lucenti dei centri commerciali o sulle strade sudice dei ghetti urbani. Ed i “ragazzi di vita” del secolo ventuno, passeggiando, hanno un'abitudine nuova: ascoltare la musica dagli altoparlanti del cellulare.
mercoledì 18 novembre 2009
Telenovelas in India: Dietro le quinte del "progresso" sociale
«Fin dagli anni '70 la brasiliana Rede Globo manda in onda delle telenovelas che vengono seguite a volte da più di 80 milioni di persone. Sono storie che non rispecchiano la quotidianità delle donne brasiliane come "Desperate Housewives" non rispecchia lo stile di vita dipico dei quartieri residenziali statunitensi.
In un paese come il Brasile, dove il divorzio è stato legalizzato solo nel 1977, quasi un quinto dei personaggi femminili di Rede Globo è divorziato e circa un quarto è infedele. Inoltre, il 72% non ha figli e solo il 7% ne ha più di uno. Nel 1970, invece, le donne brasiliane avevano in media 6 figli.
Ma le telenovelas hanno decisamente conquistato i telespettatori.
In un paese come il Brasile, dove il divorzio è stato legalizzato solo nel 1977, quasi un quinto dei personaggi femminili di Rede Globo è divorziato e circa un quarto è infedele. Inoltre, il 72% non ha figli e solo il 7% ne ha più di uno. Nel 1970, invece, le donne brasiliane avevano in media 6 figli.
Ma le telenovelas hanno decisamente conquistato i telespettatori.
sabato 14 novembre 2009
Saggio / L'allarme sociale: Ignazio La Russa e la Morfologia della fiaba
Morfologia della Fiaba è il titolo di un lavoro, pubblicato dal russo Vladimir Propp, nel 1928. In questo celebre studio Propp provò a mostrare come le narrazioni, dietro una grande complessità di sfumature, nascondano in realtà una struttura stabile ed elementare: un set finito di ruoli e di eventi posti in relazioni e in successioni costanti. La forza della fiaba sta quindi anche in questo: riprodurre strutture riconoscibili e superficiali, che rassicurino semplificando la complessità del mondo per trasmettere anche a un bambino una sensazione e, attraverso essa, un messaggio elementare.
Queste strutture e queste paure, per funzionare in una fiaba risultando convincenti, devono essere in intima connessione con l’emotività elementare e animale dello spettatore. Complessità, sfumature e ragionamenti astratti sono nemici della fiaba, perché invece che assecondare la pigrizia mentale del bambino gli provocano mal di testa e senso di confusione.
Proprio in questi giorni il mondo politico è impegnato a discutere una legge che dovrebbe porre un limite alla durata dei processi annullando tutti quei procedimenti che non si concludono nei tempi stabiliti.
Queste strutture e queste paure, per funzionare in una fiaba risultando convincenti, devono essere in intima connessione con l’emotività elementare e animale dello spettatore. Complessità, sfumature e ragionamenti astratti sono nemici della fiaba, perché invece che assecondare la pigrizia mentale del bambino gli provocano mal di testa e senso di confusione.
Proprio in questi giorni il mondo politico è impegnato a discutere una legge che dovrebbe porre un limite alla durata dei processi annullando tutti quei procedimenti che non si concludono nei tempi stabiliti.
mercoledì 11 novembre 2009
Saggio / Maria Stella Gelmini e la mezza battaglia contro la maternità all'italiana
La Ministra dell'Istruzione Maria Stella Gelmini è incinta. E per rassicurare l'intervistatore ed i lettori de Il Giornale, se ne è uscita con questa frase apparentemente banale, in realtà estremamente significativa: «Molto più difficile essere una brava madre che un buon ministro». Questa frase, pur tra tante buone intenzioni, è importante (e in parte grave) per almeno due ragioni.
In primo luogo questa frase rafforza e incoraggia una visione della maternità molto italiana: totale, soffocante, morbosa. In secondo luogo, questa frase svilisce, banalizza, demolisce la politica, il Ministero, il suo stesso lavoro, ed ogni forma di auto-realizzazione complementare o alternativa alla maternità all'italiana.
«Molto più difficile essere una brava madre che un buon ministro»? Veniamo con ordine.
In primo luogo questa frase rafforza e incoraggia una visione della maternità molto italiana: totale, soffocante, morbosa. In secondo luogo, questa frase svilisce, banalizza, demolisce la politica, il Ministero, il suo stesso lavoro, ed ogni forma di auto-realizzazione complementare o alternativa alla maternità all'italiana.
«Molto più difficile essere una brava madre che un buon ministro»? Veniamo con ordine.
martedì 10 novembre 2009
Saggio / L'impoverimento del linguaggio è veramente un male?
Il linguaggio si sta impoverendo? Parrebbe proprio di sì, a giudicare da quanto riferiscono gli specialisti ai giornali. Un lessico più povero, l’utilizzo diffuso di forme grammaticalmente errate, la scomparsa di tempi e modi verbali. Ma non solo: l’estinzione dei dialetti, che causerebbe la scomparsa di civiltà e di culture, con la prospettiva di un mondo che, tra pochi decenni, potrebbe parlare solo una o due lingue globali. Ce n’è insomma per tutti: per gli snob, per gli eruditi e i moralisti, ma anche per i gentiluomini di campagna impegnati nella “riscoperta” delle eredità dialettali.
Anche se nessuno si preoccupa davvero, la cosa sembra avere anche una certa presa a livello popolare. E’ di questi giorni, ad esempio, la classica prova, nella casa del Grande Fratello, all’insegna della conoscenza della lingua italiana: un paio di esseri umani filtrati, confusi e ridotti a macchiette, alle prese con termini come “favella”, “petecchia”, “foggia”, “cacofonico”, e con gli inevitabili strafalcioni. Il tutto con comici e soubrette che lanciano non meglio definiti cenni di intesa ai telespettatori (il cui livello di istruzione medio non arriva alla licenza superiore).
In realtà ho spesso l’impressione che, le lamentele generiche per l'impoverimento del linguaggio, siano una grande sciocchezza. O meglio: chissenefrega? Le lingue sono strumenti che come tali cambiano e si dilatano o si contraggono a seconda delle necessità comunicative: perché la scomparsa di doppioni, rami secchi, pedanterie e sfumature di cui oramai si è perso il senso andrebbe visto come un impoverimento sostanziale? Cosa si perde chi non conosce il significato di “petecchia”, “foggia”, “cacofonico”? Ed in fondo il messaggio che resta dal discorso mediatico popolare, che pur si diverte ai danni dell’incolto di turno godendosi l’impressione di una pur leggera superiorità, è proprio questo: si vive benissimo anche conoscendo poche centinaia di parole.
Anche se nessuno si preoccupa davvero, la cosa sembra avere anche una certa presa a livello popolare. E’ di questi giorni, ad esempio, la classica prova, nella casa del Grande Fratello, all’insegna della conoscenza della lingua italiana: un paio di esseri umani filtrati, confusi e ridotti a macchiette, alle prese con termini come “favella”, “petecchia”, “foggia”, “cacofonico”, e con gli inevitabili strafalcioni. Il tutto con comici e soubrette che lanciano non meglio definiti cenni di intesa ai telespettatori (il cui livello di istruzione medio non arriva alla licenza superiore).
In realtà ho spesso l’impressione che, le lamentele generiche per l'impoverimento del linguaggio, siano una grande sciocchezza. O meglio: chissenefrega? Le lingue sono strumenti che come tali cambiano e si dilatano o si contraggono a seconda delle necessità comunicative: perché la scomparsa di doppioni, rami secchi, pedanterie e sfumature di cui oramai si è perso il senso andrebbe visto come un impoverimento sostanziale? Cosa si perde chi non conosce il significato di “petecchia”, “foggia”, “cacofonico”? Ed in fondo il messaggio che resta dal discorso mediatico popolare, che pur si diverte ai danni dell’incolto di turno godendosi l’impressione di una pur leggera superiorità, è proprio questo: si vive benissimo anche conoscendo poche centinaia di parole.
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