In vista delle prossime elezioni politiche nel Regno Unito, il Guardian dedica un paio di articoli al possibile comportamento elettorale della comunità musulmana (più di 1,5 milioni di persone, circa il 3% degli elettori).
Ne emerge, come plausibile, come la comunità musulmana sia prima di tutto estremamente disomogenea ed estremamente divisa: diverse origini etniche, diverse classi sociali di riferimento nonchè, evidentemente, diverse visioni delle cose. «In questo contesto, non ha quasi alcun senso parlare di un "blocco elettorale musulmano"» scrive il primo editorialista.
Storicamente concentrati nella classe operaia, e sostenuti nelle loro battaglie dagli anni '80 dal partito laburista, i musulmani hanno nel tempo diversificato il loro voto: la politica estera del Labour e l'alleanza Bush-Blair sembra aver provocato un certo spostamento verso il Liberaldemocratici, ma numerosi sono anche i candidati musulmani conservatori.
Tra le principali associazioni di musulmani, la tendenza è quella a non concedere l'appoggio completo ad alcun partito concentrando l'attenzione sui singoli candidati. Capita così di vedere gruppi di musulmani sostenere candidati conservatori o laburisti, sikh o cristiani (anche laddove lo sfidante è musulmano), uomini o donne, indipendentemente insomma da ogni forma di appartenenza.
Nel complesso, rimangono alcuni temi caldi generali che interessano una quota consistente dei musulmani: «la politica estera (Iraq, Afghanistan, Palestina) e l'islamofobia, ma anche l'economia, la salute, l'educazione e le tasse», scrive il secondo editorialista del quotidiano inglese. Più che entrare nel merito, gran parte delle associazioni sta comunque facendo campagne che invitano i musulmani ad interessarsi alla politica ed al voto.
La politica stessa, infine, sta corteggiando la comunità musulmana: i candidati di origine musulmana sono numerosi e sono presenti trasversalmente in tutti i partiti (diversamente da quanto accade in Italia, dove i "musulmani" latitano addirittura nella Consulta per l'Islam). Come a dire che l'appartenenza religiosa non ha in sè praticamente alcuna influenza sul voto.
Giusto come pro-memoria per quel "politologo" che, dalle pagine del Corriere, tuonò contro il pericolo che la "comunità musulmana", «una volta conseguita la massa critica necessaria, crei e voti il suo partito islamico che rivendica diritti islamici se così istruita nelle moschee».
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