martedì 23 febbraio 2010

Giovanni Sartori colpisce ancora. Omogeneità e differenza come categorie della percezione

Giovanni Sartori, teorico della destra xenofoba europea, politologo, opinion leader ed editorialista del Corriere della Sera, è ricaduto in uno dei suoi peccati senili più gravi: lo sproloquio xenofobo. Come segnalato da Marco, il noto commentatore ha utilizzato infatti il pulpito offertogli per l'ennesima volta dal Corriere della Sera per l'ormai collaudato mix di chiacchiere da bar e citazioni pseudo-colte a sostegno delle solite tesi xenofobe e razziste sull'impossibilità di creare con i migranti alcuna pacifica convivenza (come se questo fosse uno sfizio ideologico, e non una necessità storica ineluttabile).

Il nuovo editoriale, Multiculturalismo e cattivo vicinato, vuole sostenere che il "modello americano", cioè nel linguaggio di Sartori (linguaggio approssimativo: di fatto il modello americano è quello del melting pot, crogiolo o insalatiera, evidentemente non multiculturale in senso classico bensì tendenzialmente assimilazionista - nell'insalatiera gli ingredienti si mescolano) il modello che mira all'integrazione nel sistema socio-politico dei migranti in una società multiculturale, è fallimentare e inadatto. Secondo Sartori il "multiculturalismo" produce solo, soprattutto in un contesto come il nostro, conflitti e tensioni crescenti. E siccome la presenza di migranti non può che produrre, secondo Sartori, comunità separate, l'ingresso di migranti, di nuovi "vicini di casa" tanto diversi che vanno ad inserirsi in comunità e culture "omogenee", non può portare alcuna integrazione bensì al conflitto. Il riferimento al "vicinato" richiama esplicitamente ai fatti di via Padova, che in realtà non c'entra nulla col resto del discorso.

Secondo Sartori, l'impossibilità di organizzare una pacifica convivenza è per l'appunto ancora più vera in Europa, terra (sempre secondo il nostro) che è abituata ad ospitare gruppi culturalmente omogenei e che quindi non è abituata a confrontarsi con genti diverse. Siccome la differenza genererebbe "naturalmente" tensioni, e siccome l'Europa non sarebbe abituata a confrontarsi con la differenza, Sartori afferma quindi che la pacifica coesistenza multiculturale non è applicabile al contesto europeo. (Una posizione coerente con quel "hanno il diritto a vivere come vogliono, ma a casa loro", che sintetizza quello che Taguieff chiama razzismo differenzialista, la nuova frontiera (senza approdo) del razzismo europeo, di derivazione francese). Naturalmente Sartori non offre possibili soluzioni. Se non, implicitamente e come già affermato esplicitamente in passato, il contrasto ai migranti e a tutti coloro che sostengono la praticabilità di una loro integrazione.

Leggendo Sartori si ha l'impressione che l'Europa abbia vissuto gli ultimi secoli in uno stato di quiete, garantita dall'omogeneità culturale, e che oggi questa quiete sia messa a repentaglio dall'invasione della differenza, rappresentata dai migranti. Ma di quale omogeneità culturale andiamo parlando? Di quale convivenza pacifica tra "simili"? E di quali destabilizzanti differenze

Sartori sembra dimenticare che la storia dell'Europa e dell'Italia, che il nostro definisce culturalmente omogenee e quindi prive di gravi problemi di convivenza e di vicinato perchè i "vicini" si conoscono da secoli e sanno dialogare senza paura, è anche una storia di conflitti feroci e di grandi stereotipi, di demonizzazioni, di "differenze" che oggi sembrano infime ma che, solo pochi decenni fa, bastavano a motivare stragi che nessun processo migratorio ha mai nemmeno fatto immaginare.

Dimenticando, per fare un esempio, le centinaia di guerre tra nazioni, tra comuni, tra vicinati, che hanno caratterizzato il continente, nelle quali l'altro, il vicino, era rappresentato non meno dissimilmente da come oggi viene rappresentato il peggior musulmano. Dimenticando le guerre scatenate dalle democrazie liberali a partire dalla prima Guerra Mondiale, dove il nemico austriaco o italiano era descritto come un subumano. Dimenticando le guerre fratricide tra le polis greche, tra i comuni e i principati italiani, le guerre mosse a ebrei, zingari e minoranze varie. Dimenticando i conflitti di religione, le guerre da centinaia di migliaia di morti tra cattolici e protestanti, solo pochi decenni fa, o tra irlandesi e inglesi. Dimenticando, poi, i conflitti di "classe", i conflitti ideologici, la caccia alle streghe. Dimenticando il modo in cui, in una terra di "immigrazione" abituata, gli anglosassoni descrivevano irlandesi e italiani "culturalmente omogenei". Dimenticando come, solo pochi decenni fa, venivano vissute le differenze tra settentrionali e migranti interni meridionali. Dimenticando le migliaia di altri esempi che io stesso ho ora dimenticato.

Omogeneità culturale? Sartori dimentica un concetto fondamentale: l'omogeneità e la differenza non esistono in quanto tali, ma in quanto percezioni. Due individui possono essere percepiti, in condizione differenti, come identici o come completamente dissimili: non c'è somiglianza oggettiva che tenga di fronte ai processi di creazione di stereotipi e di capri espiatori o, al contrario, di fronte alla naturale integrazione. (La stessa etnicità è, secondo gli studiosi - come Ugo Fabietti - una caratteristica più "immaginata" che "oggettiva", cioè effettiva quando percepita come tale). La stessa ferocia che oggi può provocare la percezione dell'indiano in quanto diverso, divideva pochi decenni fa protestanti e cattolici nella vicina (e multiculturale) Olanda. Sono molto più simili oggi due americani di seconda generazioni, figli per esempio di immigrati coreani e iraniani, di quanto lo fossero un pugliese e un sudtirolese quattro decenni orsono.

Il problema, quindi, non è la differenza in quanto tale. Certo non si vuole nemmeno dire che le differenze non esistano. Non si può però negare che è il modo in cui la "differenza" viene inquadrata, interpretata, considerata rilevante o, al contrario, nemmeno notata o gestita e "immunizzata", ad essere centrale e a provocare conflitti e opposizioni atroci. E tra i motivi che fanno in modo che il migrante sia inquadrato come diverso, come minaccioso, come nemico, uno dei motivi principali è l'esistenza di individui come Sartori che, vittima delle loro paranoie, soffiano benzina su una situazione già di suo, vuoi "la crisi" vuoi le tante trasformazioni sociali che la contemporaneità ci impone, delicata. Individui che remano contro l'inclusione, partendo dal pregiudizio che essa non è realizzabile (ma è necessaria!).

E' quindi sciocco dire che l'Europa non è adatta ad accogliere pacificamente gli immigrati, perchè abituata ad un'omogeneità culturale e ad un buon vicinato. Ciò non significa che l'inclusione sia necessariamente indolore; ma ciò non è dovuto alla non integrabilità del diverso, o a un inevitabile atteggiamento di avversione verso il differente, bensì al fatto che, anche grazie a Sartori, l'ingresso dei migranti è vissuto, inquadrato, "incorniciato", in termini di pericolosa invasione.

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L'articolo di Sartori propone altri elementi, che non mi sembra il caso di commentare. Lo schema, d'altra parte, è lo stesso utilizzato dal nostro nella "trilogia" che, tra dicembre e gennaio, ha fatto "divertire" questo e molti altri blog sostenendo con improbabili strafalcioni storiografici e imbarazzanti banalizzazioni pseudo-sociologiche, per riassumere, che i musulmani non si possono integrare, che quindi vanno ostacolati e respinti senza se e senza ma, e che questo è l'unico modo naturale quanto efficace che la società occidentale ha per evitare uno stato di guerra civile permanente e chissà quale califfato globale.

Lo schema collaudato, come già detto, funziona più o meno così: Si parte da una ricostruzione storica puerile, punteggiata da sberleffi ai "faciloni" integrazionisti e da citazioni pseudocolte, per arrivare a criticare ogni tentativo di convivenza e di integrazione giudicato, chissà perchè, vano. Infine, dopo aver annunciato scenari apocalittici e dopo aver provato a demolire tutto ciò che di costruttivo il dibattito sulle migrazioni ha prodotto, naturalmente distorcendolo a suon di chiacchiere da bar, si conclude con una domanda retorica ("che fare"?) lasciata lì senza una risposta, senza una precisazione, senza una luce in fondo al tunnel. Come a dire: riempite voi i puntini, scegliete la forma di pulizia etnica che più vi aggrada, fate volare la fantasia. Sfogatevi, insomma, che la situazione ve lo concede. E se avete bisogno di un appiglio teorico, servitevi pure nel mio nulla.

Ci sono tutti gli elementi per parlare di uno stile Sartori. E che Sartori possa diventare un brand per la destra xenofoba, è un mio vecchio e noto auspicio. Sartori non ha sicuramente inventato nulla: lo sproloquio anti-immigrazione è infatti uno dei generi più gettonati da almeno un decennio a questa parte. Ciò non toglie che il suo lavoro sia estremamente grave, come ho più volte denunciato. Sia perchè fa da "bibliografia" alle più becere chiacchiere da bar, sia perchè orienta le opinioni della classe dirigente che crede di affidarsi ad uno studioso stimato. In particolare, il discorso di Sartori sembra orientato a quelle frange del centro-destra (Fini, Granata) orientato ad una maggiore apertura, proprio a partire da una visione "all'americana".

Di fronte a tutto ciò c'è poco da fare. Ci penseranno quei normali processi storici e culturali che, seppur tra le frizioni, in un modo o nell'altro procedono e si aggiustano. Alla faccia dei veri non integrati che continuano a soffiare sul fuoco.

5 commenti:

  1. avra' bisogno di soldi per curarsi l'alzheimer (o per prendersi una badante russa)

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  2. ma perchè prima di lasciare commenti non leggete l'articolo di Sartori? E' vero che ci sono state guerre, di religione, tra comuni e quant'altro (lo dice anche Sartori), ma chiarendo che si tratta appunto di scotnri tra simili. Ancora con la favola dell'Europa terra di incontro tra razze diverse. L'aumento degli immigrati - da 3 mila a 400.000 - è un dato del Prefetto di Milano, non di Sartori. Perchè invece di descrivere il mondo come lo vorreste (operazione degna di lode) e di dire che uno è malato di Alzheimer (complimenti al grande esempio di comprensione di chi è malato), non vi fermate ai dati?

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  3. l'articolo di sartori dice che dobbiamo avere paura perchè l'europa è invasa tra i diversi, e le guerre si fanno tra dissimili! aiuto! E noi, poveri, non siamo nemmeno abituati ad accettare questi pidocchi: siamo abituati a vivere in armonia tra simili da secoli!

    Peccato poi che si viene a scoprire che l'europa, prima che arrivassero i "dissimili" di oggi, è stata teatro di guerre sanguinose. Mentre non mi risulta che l'ingresso in europa di milioni di musulmani, da almeno 5 decenni ad oggi, non abbia portato che a poche decine di morti (Londra, Theo Van Gogh, e null'altro). Tutto il resto è paranoia, e questi sono dati. dire che gli stranieri sono aumentati, non ha che un valore descrittivo. Non sono i dati a contare, nelle scienze sociali, ma le correlazioni. Non aggrappiamoci ai dati a caso.

    Il fatto che le guerre vere siano state combattute tra fazioni composte da persone che oggi consideriamo "simili", non mi consola. Soprattutto, che fossero simili lo diciamo noi ora: all'epoca, naturalmente, gli austriaci -per fare un esempio- in quanto a stereotipi e simpatia percepita non stavano meglio di come stiano oggi gli "stranieri".

    Omogeneità e diversità sono categorie della percezione.

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  4. In Italia se non mangi la pasta, se porti il velo, nse on vuoi la croce in aula, se non veneri qualche calciatore, se non usi l'autoIMmobile e così via, non ti integri.
    Anche gli italiani rischiano di non essere considerati italiani.

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  5. Sartori con tutta probabilità è il più grande politologo al mondo, è nato nel 1924, di storia ne ha vista tanta e ne ha studiata altrettanta. Non è scemo. Se dice di stare più che attenti dall'immigrazione islamica, non lo fa di certo per il suo futuro.. Se ci dice che gli islamici non si sono mai integrati nei paesi ospitanti da più un millennio di storia, non è una barzelletta. se dice che hanno integrato-sottomesso loro i popoli ospitanti... se ci dice che la Turchia, il più avanzato degli stati islamici, in 87anni di democrazia sta facendo decisi e veloci passi indietro.. se teme che raggiungendo un numero discreto creino un partito islamico, che se dovesse raggiungere il 51%(come a Rotterdam!) potrebbero democraticamente introdurre la sharia per legge.. beh, c'è non solo da credergli ma da iniziare a pensare ed a trovare soluzioni più lungimiranti.

    Per me è ora di fare noi i figli. Il problema alla base è demografico!!!, gli immigrati servono perchè gli europei hanno fatto pochissimi figli, ci sono pochi nuovi lavoratori e troppi ex lavoratori che vanno in pensione. Non solo, essendoci memo persone calano i consumi e quindi la produzione, si crea quel circolo vizioso che il 2009 ha ben rappresentato: meno consumi meno lavoro e tanta disoccupazione. Bene, io da cittidano pretendo una politica che permetta alle famiglie di fare i tanto ambiti 3 figli. basta con i figli unici perchè due son troppi da mantentere; io pretendo più assegni famigliari, più agevolazioni varie come autobus gratis ai minori, libri scolastici gratuiti ecc.. pretendo una politica interventista a favore delle famiglie, delle donne che fanno figli, per i datori di lavoro che dovranno ricere vantaggi e non svantaggi da una maternità. è un investimento per il nostro futuro, chi lo considera un costo è imbecille!

    P.S.: per tutti gli Economisti ed il loro divino PIL: nel 1965 l'Italia ha "prodotto" 1.017.944 bambini. Nel 1995 soltanto 526.064! il PIL italiano tra il '65 ed il '95 è più che raddoppiato; dato che nel PIL vengono calcolati anche il fumo e gli alcolici, io mi chiedo: qual'è il valore di un bambino? un pacco di sigarette vale di più?

    (demografia d'Italia - wikipedia)

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