Negli ultimi giorni è esploso un dibattito sul multiculturalismo e sull'integrabilità dell'islamico, giunto oggi alla terza puntata nella quale Sartori smentisce in maniera un pò confusa gran parte delle gravi affermazioni che lo avevano reso il paladino dei pregiudizi essenzialisti e dell'odio anti-islamico. La nuova posizione di Sartori, che nega in gran parte quanto detto in precedenza, è in buona parte condivisibile seppure molto sottile e parecchio complessa. Questo articolo si propone di renderla più comprensibile, mostrando le contraddizioni con quanto detto in precedenza e smentendo la quasi totalità delle strumentalizzazioni e dei commenti a favore dei due precedenti tremendi pezzi del Sartori.
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Riassunto delle puntate precedenti. Tutto è nato dall'uscita del politologo Giovanni Sartori, per mezzo di un editoriale pubblicato sulla prima pagina del Corriere della Sera e intitolato L'integrabilità degli islamici, nel quale si dice che il musulmano non è storicamente integrabile. Secondo Sartori, la storia non mostrerebbe, dal 630 d.C. in poi, un solo caso di integrazione dei misulmani (integrazione intesa come «incorporazione nei valori del sistema politico»). Ciò sarebbe dovuto, secondo Sartori, al fatto che l'Islam sarebbe «un invasivo monoteismo teocratico»; affermazione che, purtroppo, non viene motivata se non attraverso esili aneddoti tratti dalla storia. Sartori conclude poi affermando che «lludersi di integrare [l'Islam] "italianizzandolo" è un rischio da giganteschi sprovveduti, un rischio che non dobbiamo correre». Che fare dunque, professor Sartori?
Nei giorni successivi, studiosi, opinionisti e blogger (Lorenzo Declich, Tito Boeri, Sherif el Sebaie, Marco Restelli) smontano il pezzo del professorone. Nella realtà, infatti, tanto la storia quanto l'attualità dimostrano ampiamente come gli immigrati "musulmani" sono nei fatti in gran parte, se non nella loro quasi totalità, integrati nel sistema etico-politico delle società ospitanti. Non è l'islam in sè, nè gli islamici in quanto tali, a essere incompatibili con la nostra Costituzione: lo è, al limite, una visione estremamente minoritaria che anche nei paesi di più antica immigrazione non ha oggi alcun peso. Anche dove siamo arrivati alla terza ed alla quarta generazione, e dove il multiculturalismo moderno è stato inventato, non si registrano partiti islamici o progetti sovversivi che vadano al di là di un manipolo di ragazzotti fanatici (al contrario, in Italia vi sono partiti esplicitamente anti-islamici che governano intere regioni. L'anti-islam è politico, sovversivo e mette in cristi la nostra Costituzione).
Inizialmente Sartori replica piccato (Una replica ai pensabenisti dell'Islam), ridimensionando un pò la questione (arrivando ad esempio a dire che «l’integrazione dell’islamico nelle società modernizzate» non è più impossibile, ma «diventa più difficile che mai»). La sostanza però non cambia: è la fede musulmana, secondo Sartori, la «variabile» che è in grado di spiegare meglio la mancata integrazione di alcuni gruppi di immigrati. Nella sua gradazione più virulenta, secondo Sartori, l'islam "inventa" il kamikaze (termine evidentemente giapponese), fenomeno che secondo Sartori non costituisce (non si capisce per quale motivo) una degenerazione isolata, stigmatizzata dalla massa, ma che al contrario «rinforza e galvanizza l’identità fideistica di centinaia di milioni di musulmani che così ritrovano il proprio orgoglio di antica civiltà». Secondo Sartori, in ogni musulmano cova la fiammella del Kamikaze ed un innato desiderio di conquista: poco importa se ciò non trova riscontro alcuno, rimanendo al tema del dibattito, nella comunità musulmana insediata in Europa.
Qualche giorno dopo, poi, ci si mette pure il marito di Barbara Palombelli (Francesco Rutelli), che peggiora le cose dicendo che la via del multiculturalismo è, nella sostanza, velleitaria e pericolosa (citando l'infelice caso delle banlieu, che non ha evidentemente nulla a che vedere con conflitti di natura culturale).
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Oggi, 7 gennaio, Sartori ha aggiunto alla collezione un terzo pezzo («Il pluralismo valorizza la diversità, No al multiculturalismo ideologico»). Il pezzo, una raccolta di punti in qualche modo sconnessi che si conclude con l'ennesima magistrale chiosa che non dice nulla (ma lascia tutti contenti), è particolarmente interessante perchè ridimensiona di fatto le precedenti rutilanti affermazioni. Anche se in maniera apparentemente contraddittoria, e non scevra da affermazioni discutibili, il nuovo pezzo di Sartori sembra superare infatti il multiculturalismo in chiave interculturale. In conclusione, tuttavia, i pregiudizi sembrano emergere lasciando intendere, tra le righe, la necessità di un'esclusione politica degli immigrati attraverso la non concessione della cittadinanza. Il tutto, "giusto perchè non si sa mai" (che fine scienziato sociale!), senza contare le conseguenze negative che ciò ha sull'integrazione reale.
Proviamo a fare chiarezza.
Punto primo: «Non si deve confondere tra il multiculturalismo che esiste in alcuni Paesi, che c’è di fatto, e il multiculturalismo come ideologia, come predicazione di frammentazione e di separazione di etnie in ghetti culturali». Ah, Sartori si riferiva alla fine disquisizione tra multiculturalismo e interculturalismo, parteggiando (come gli studiosi veri) per la seconda via! Non è quindi in discussione il futuro "multiculturale" dell'Italia (in quanto nazione nella quale coesistono di fatto individui che si riconoscono in diverse eredità culturali), ma il modo in cui le diverse identità devono essere tutelate nella consapevolezza che non esistono i "musulmani" e gli "indù", ma singoli individui titolari di identità fluide e composite che superano e ricompongono in maniera creativa "retaggi culturali" dinamici. Il "multiculturalismo ideologico" criticato da Sartori è quel multiculturalismo che imposta la convivenza come un condominio in cui ogni "etnia" occupa un appartamento statico senza intrattenere contatti con i vicini. Citando Sartori, dobbiamo al contrario propendere per «una diversità fondata su cross-cutting cleavages, su affiliazioni e appartenenze che si incrociano, che sono intersecanti, e non, come nel caso dell’ideologia multiculturale, da affiliazioni coincidenti che si cumulano e rinforzano l’una con l’altra».
Mica male per uno che qualche giorno fa veniva utilizzato per sostenere l'equazione ["figlio di maghrebini = musulmano = seguace di un set predefinito di comportamenti previsti dal Corano = nostalgico del Califfato = non integrabile], o che se ne usciva con infelici sentenze sul fatto che il musulmano non si integra in quanto tale!
Punto secondo: «Un’altra confusione da evitare è tra conflitti religiosi e conflitti etnici [...] Le religioni possono invece coesistere pacificamente ignorandosi l’una con l’altra». Il problema, quindi, non è la religione in quanto tale («il Corano è simile all’Antico Testamento nel suggerire tutto e il suo contrario», dice Sartori lusingandomi), ma il suo utilizzo politicizzato nell'ambito di "gruppi immaginati", le "etnie", costruiti e mutevoli. I ribelli iraniani sono musulmani quanto Ahmadinejad: il problema non è il riconoscersi nel Corano, ma l'interpretazione politicizzata.
Resta da capire, se la questione è in questi termini, per quale motivo il "musulmano" non sarebbe integrabile in Occidente in quanto musulmano! E quì la spiegazione di Sartori scende dal mondo fantasy dello scontro di civiltà, per inciamparsi in una manciata di pregiudizi veniali dovuti, probabilmente, al cattivo influsso che ha sul Corriere della Sera Magdi Cristiano Allam.
Fino a quì il discorso, condivisibile, è sintetizzabile in questo modo: bisogna evitare la contrapposizione tra noi e loro, tra cristiani e musulmani, concentrandoci a livello degli individui, rompendo gli steccati e superando i pregiudizi di natura collettiva. Esattamente il contrario di quello che è passato nei due precedenti articoli. Ma poi, anche per Sartori, arriva il momento della conclusione a effetto.
Punto terzo: «I rimedi? Tutti si chiedono quali siano, eppure sono ovvi. A suo tempo i tedeschi accolsero milioni di turchi come "lavoratori ospiti"; noi avevamo e abbiamo i permessi di soggiorno a lunga scadenza; gli Stati Uniti concedono agli stranieri la residenza permanente. Sono tutte formule che si possono, se e quando occorre, migliorare e "umanizzare". Ma sono certo preferibili alla creazione del cittadino "contro-cittadino" che, una volta conseguita la massa critica necessaria, crea e vota il suo partito islamico che rivendica diritti islamici se così istruito nelle moschee. Non dico che avverrà; ma se il fondamentalismo si consolida, potrebbe avvenire. È un rischio che sarebbe stupido correre. O almeno a me così sembra».
Per cominciare, Giovanni Sartori dice che le soluzioni sono semplici ma si limita a citare alcuni esempi eterogenei presi a caso (i "lavoratori ospiti", cioè la più inumana e velleitaria politica migratoria adottata nello scorso secolo, il "modello senza modello" italiano, l'assimilazionismo civile da società di immigrazione degli USA).
A parte questo, la conclusione è la parte più controversa e pericolosa. Sartori arriva infatti a insinuare la necessità di evitare lo scontro "cittadino contro cittadino", privando il più possibile del titolo di cittadino gli immigrati musulmani.
Andiamo con ordine.
Nella conclusione sembrano emergere due aspetti. Primo: la volontà di non considerare gli autoproclamati leader comunitari come unici referenti, e di non considerare gli individui come indù o musulmani ma prima di tutto come soggetti preferendo un modello di integrazione che guardi maggiormente al livello individuale. Secondo: la volontà di non concedere ai musulmani i diritti politici, nel timore che essi si possano lasciare indottrinare modificando dall'interno, grazie alla cittadinanza, i principi costituenti dello stesso sistema politico e civile.
La prima paura manifestata da Sartori è quella che dando troppo peso ai referenti religiosi e comunitari, si vengano a creare comunità chiuse e contrapposte in grado in qualche modo anche di soffocare le identità fluide e multiple degli individui. Questo discorso è in qualche modo condivisibile.
Cosa vuole dire infatti Sartori, in definitiva e in termini concreti? Sartori vuole dire che non bisogna dare troppo peso agli autoproclamati imam ed alla componente religiosa, preferendo un'integrazione interculturale cioè individuo per individuo, che bilanci diritto alla differenza e diritto alla somiglianza in una dimensione soggettiva e non di gruppo. Vuol dire che non bisogna sostenere unicamente i notabili musulmani nella creazione di gruppi chiusi, ma sostenere gli individui nella formazione delle loro identità multiple e fluide garantendo un'architettura plurale. Non prendere in considerazione solo la minoranza che frequenta assiduamente la moschea, sia essa "moderata" o "estremista", considerandola la portavoce unica delle esigenze delle centinaia di migliaia di musulmani più o meno laici che vivono in Italia, ma puntare l'integrazione sulle condizioni materiali e sulla difesa dei diritti costituzionali.
La seconda paura, è invece quella che, una volta create comunità contrapposte, i musulmani dotati della cittadinanza si possano in qualche modo coalizzare modificando le basi stesse della nostra Costituzione. Per dirla con Sartori, il rischio (a suo parere) è quello che, «una volta conseguita la massa critica necessaria, [il musulmano] crea e vota il suo partito islamico che rivendica diritti islamici se così istruito nelle moschee».
Questa convinzione, o meglio questo timore, è però evidentemente paranoico: uno scenario non si è verificato, infatti, in nessun paese (non esistono partiti islamici seri neppure dove i musulmani raggiungono una percentuale a doppie cifre) e non è nemmeno plausibile vista, nelle pratiche quotidiane, l'integrazione civile di fatto della gran parte dei musulmani europei. Il tutto basato, tra l'altro, sull'idea arrogante per la quale ogni musulmano viene "istruito nelle moschee". E sulla base di questo timore irrazionale, Sartori arriva a proporre una prudenza extra nella concessione della cittadinanza, dimenticando che ciò (provocando al contrario disagio, estraneità, dipendenza, esclusione, voglia di rivalsa, ulteriore "solidarietà reattiva") è evidentemente inefficace e contraddittorio se la volontà è quella di integrare.
Una conclusione tremenda, a suo modo. Ma per ora, forse, ci possiamo accontentare: questa visione, per quanto paranoica, è sicuramente più accettabile dei gravissimi e falsi pregiudizi esposti nei precedenti editoriali.
Andiamo con ordine.
Nella conclusione sembrano emergere due aspetti. Primo: la volontà di non considerare gli autoproclamati leader comunitari come unici referenti, e di non considerare gli individui come indù o musulmani ma prima di tutto come soggetti preferendo un modello di integrazione che guardi maggiormente al livello individuale. Secondo: la volontà di non concedere ai musulmani i diritti politici, nel timore che essi si possano lasciare indottrinare modificando dall'interno, grazie alla cittadinanza, i principi costituenti dello stesso sistema politico e civile.
La prima paura manifestata da Sartori è quella che dando troppo peso ai referenti religiosi e comunitari, si vengano a creare comunità chiuse e contrapposte in grado in qualche modo anche di soffocare le identità fluide e multiple degli individui. Questo discorso è in qualche modo condivisibile.
Cosa vuole dire infatti Sartori, in definitiva e in termini concreti? Sartori vuole dire che non bisogna dare troppo peso agli autoproclamati imam ed alla componente religiosa, preferendo un'integrazione interculturale cioè individuo per individuo, che bilanci diritto alla differenza e diritto alla somiglianza in una dimensione soggettiva e non di gruppo. Vuol dire che non bisogna sostenere unicamente i notabili musulmani nella creazione di gruppi chiusi, ma sostenere gli individui nella formazione delle loro identità multiple e fluide garantendo un'architettura plurale. Non prendere in considerazione solo la minoranza che frequenta assiduamente la moschea, sia essa "moderata" o "estremista", considerandola la portavoce unica delle esigenze delle centinaia di migliaia di musulmani più o meno laici che vivono in Italia, ma puntare l'integrazione sulle condizioni materiali e sulla difesa dei diritti costituzionali.
La seconda paura, è invece quella che, una volta create comunità contrapposte, i musulmani dotati della cittadinanza si possano in qualche modo coalizzare modificando le basi stesse della nostra Costituzione. Per dirla con Sartori, il rischio (a suo parere) è quello che, «una volta conseguita la massa critica necessaria, [il musulmano] crea e vota il suo partito islamico che rivendica diritti islamici se così istruito nelle moschee».
Questa convinzione, o meglio questo timore, è però evidentemente paranoico: uno scenario non si è verificato, infatti, in nessun paese (non esistono partiti islamici seri neppure dove i musulmani raggiungono una percentuale a doppie cifre) e non è nemmeno plausibile vista, nelle pratiche quotidiane, l'integrazione civile di fatto della gran parte dei musulmani europei. Il tutto basato, tra l'altro, sull'idea arrogante per la quale ogni musulmano viene "istruito nelle moschee". E sulla base di questo timore irrazionale, Sartori arriva a proporre una prudenza extra nella concessione della cittadinanza, dimenticando che ciò (provocando al contrario disagio, estraneità, dipendenza, esclusione, voglia di rivalsa, ulteriore "solidarietà reattiva") è evidentemente inefficace e contraddittorio se la volontà è quella di integrare.
Una conclusione tremenda, a suo modo. Ma per ora, forse, ci possiamo accontentare: questa visione, per quanto paranoica, è sicuramente più accettabile dei gravissimi e falsi pregiudizi esposti nei precedenti editoriali.
Non possiamo certo aspettarci che Sartori, dalla sua posizione, lo ammetta. Ma quest'ultimo pezzo sa proprio di ritirata: di ritirata quasi totale, per quanto zoppicante. Peccato per lo scivolone conclusivo. Ma che dire? Meno male.
Questo suo ultimo pezzo è, secondo me, ancora più pericoloso dei precedenti, proprio perchè "sa di ritirata" (interpretabile come un mea culpa, e in grado di rendere digeribile anche le precedenti dosi) e di ridimensionamento.
RispondiEliminaSe la prima parte e quella centrale sono condivisibili, nei "rimedi" il Sartori non arretra d'un passo e ribadisce la sua contrarietà alla cittadinanza ai musulmani!!!
Come? Leggiamo bene:
"I rimedi. Tutti si chiedono quali siano, eppure sono ovvi. È stato il bombardamento del «politicamente corretto» che ce li ha fatti dimenticare o dichiarare superati. A suo tempo i tedeschi accolsero milioni di turchi come «lavoratori ospiti»; noi avevamo e abbiamo i permessi di soggiorno a lunga scadenza; gli Stati Uniti concedono agli stranieri la residenza permanente. Sono tutte formule che si possono, se e quando occorre, migliorare e «umanizzare». Ma sono certo preferibili alla creazione del cittadino «contro-cittadino» che, una volta conseguita la massa critica necessaria, crea e vota il suo partito islamico che rivendica diritti islamici se così istruito nelle moschee. Non dico che avverrà; ma se il fondamentalismo si consolida, potrebbe avvenire. È un rischio che sarebbe stupido correre. O almeno a me così sembra".
Le formule utilizzate in Germania, negli Usa e quelle in Italia, sono certamente umanizzabili, ma sono da preferire (che considerano gli immigrati come immigrati, fino ad un tempo indefinito) al cittadino-contro-cittadino (il gioco di parole ha un doppio significato), e cioé, è meglio che sia immigrati contro cittadini che cittadini contro cittadini, perché gli immigrati non potranno fare massa critica e votare il partito islamico.
Non dice che avverrà , ma potrebbe avvenire.
Il Sartori sta fantasticando, io direi che sta vaneggiando. Certo, nessun scenario è inverosimile, ma non per questo OGNI scenario merita d'esser preso seriamente, portato all'ordine del giorno come emergenza e priorità su tutti gli altri catastrofici scenari possibili!
I musulmani (anche ) in questo caso sono il pretesto - il migliore offerto sul mercato della paura - per osteggiare aperture sulla cittadinanza.
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jaska
Grazie! Bella discussione! salaam per tutti
RispondiEliminaCiao Jaska, ammetto di avere interpretato inizialmente il "cittadino contro cittadino" in maniera diversa, e che la tua interpretazione mi convince di più di quella che io ho dato inizialmente.
RispondiEliminaMessa così la cosa è estremamente grave! (Uno a zero per te in "esegesi di Giovanni Sartori") Ora modifico un pò la fine per mettere in risalto la cosa.
cari amici, ho pensato sia giunto il momento di usare le armi dell'ironia...perciò guardate l'ultimo post su MilleOrienti (in cui ho citato Pensiero Selvaggio)
RispondiEliminaciao
Ottimo articolo! E' chiaro che Sartori e quelli come lui cercano di aizzare lo "scontro fra civiltà", per adesso con pessimi risultati, ma non si sa mai!
RispondiEliminaRagazzi, le vostre reazioni agli inizi ben argomentate adesso sembra che diventino quasi una reazione stereotipata di scandalo per un argomento scottante, lo vogliate o no, del fenomeno della immigrazione di una comunità controversa quale è quella musulmana, lo vogliate o no. Lavorando nelle scuole di Roma, scuole elementari, imbattendomi con un aspetto importante del fenomeno interetnico e riscontrando appunto una serie di notevoli problemi intergenerazionali e intercomunitari che vanno purtroppo a ritorcersi sui bambini (qualunque sia la loro cultura, razza, religione o colore della pelle), le vostre reazioni stizzite si ridimensionano e capisco che in realtà è in gioco un concetto a cui noi stessi non siamo più abituati a riflettere, perchè magari per diverse variabili ne riconsociamo l'aspetto procedurale ma non quello concettuale tale e quale da esplicare a chi non ne ha avuto modo di apprendere.
RispondiEliminaPasso allora alla sostanza di tutto il ragionamento di Sartori: tenendo conto dei fenomeni demografici e dei flussi inarrestabili di migrazione (deleteri o vantaggiosi, è un'altra questione), le comunità musulmane sono in grado (paradossalmente)di "integrare" quelle componenti islamiste al suo interno, mitigandone gli accenti fondamentalisti e intolleranti, veicolnando come valori condivisibili e consensuali principi semplici liberal costituzionali, libertà e rispetto della libertà altrui, separazione società civile, stato, religione?
Secondo: è uno scenario così paranoico (davvero in Europa non accade nulla? e l'Olanda, la Francia, la Germania, la Danimarca, il partito islamista spagnolo? tutto risolto?) porre la questione della cittadinanza cautamente sotto una sorveglianza argomentativa su quali temi ci stiamo movendo prima di dare per scontato che da questa derivi una ottimale integrazione?
Già in MilleOrienti, ho tentato di affrontare questi punti, ma mi sopno reso conto quanto fosse complicato muoversi dal proprio punto di vista specie quando si accusa l'altro di essere arrogante, paranoico, vecchietto accademico ect ect, rovinando una bella discussione che potrebbe dare proficui risultati.
Infine mi rendo conto, che si tratta di un problema reciproco, per tutti gli attori in scena, la complessa situazione di riuscire a metter su un dialogo complementare che non implichi la perdita della proprio punto di vista privilegiato.
@neuromancer
RispondiEliminagrazie per il commento, mi permetto di rispondere a un paio di punti
«le comunità musulmane sono in grado di "integrare" quelle componenti islamiste al suo interno, mitigandone gli accenti fondamentalisti e intolleranti, veicolnando come valori condivisibili e consensuali principi semplici liberal costituzionali, libertà e rispetto della libertà altrui, separazione società civile, stato, religione?»
dove sta scritto che l'integrazione dei musulmani passa per l'integrazione delle comunità musulmane, e non per l'integrazione degli individui musulmani? fammi capire: ce l'abbiamo soltanto noi il diritto ad essere individui? credi davvero che esista una comunità musulmane, e che ogni individuo appartenga e sia plagiato da una comunità (oggi e, soprattutto, domani)? per quale motivo, poi, spetta a loro (a mohammed il muratore o il fruttivendolo) il compito di convincere i tre radicali che si sbagliano? avendo a che fare con le seconde generazioni, prova a pensare le cose partendo dalla prospettiva di individui fluidi perchè il futuro (ed in gran parte il presente) è questo..
inoltre: chi mai, nel mondo "occidentale", ha mai messo in discussione seriamente e politicamente questi principi? i bambini delle tue elementari? i loro genitori, spesso fuggiti dai regimi teocratici? i figli dei siciliani mafiosi?
«Secondo: è uno scenario così paranoico (davvero in Europa non accade nulla? e l'Olanda, la Francia, la Germania, la Danimarca, il partito islamista spagnolo? tutto risolto?)»
quanto prendono questi partiti, ammesso che esistano? stiamo parlando di paesi dove i "musulmani" sono arrivati alla quarta generazione, e sono una percentuale seria della popolazione... eppure non mi risulta alcun partito islamico serio in occidente (mi risultano partiti cattolici e partiti anti-islamici a doppia cifra.. sono questi il problema). Il voto degli immigrati si distribuisce tra i partiti autoctoni e, cosa sorprendente, in maniera sostanzialmente equilibrata tra i due poli. Inoltre mica tutti i musulmani sono uguali: nei paesi islamici esistono decine di partiti diversi con posizioni opposte. in iran sono musulmani tanto ahmadinejad quanto i suoi oppositori, seppure in modi naturalmente diversi. In afghanistan wikipedia segnala addirittura 32 partiti islamici.. peggio della sinistra italiana.