martedì 26 gennaio 2010

«..perchè fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare». E se gli passasse la voglia?

Accettare e spiegare le migrazioni, cioè quell'eterno movimento ciclico per le quali "le genti" (o meglio gli individui) si mescolano e, se giusto c'è nell'aria un pò di nervosismo, i "vecchi" se la prendono in varie forme con i "nuovi" peggiorando goffamente le cose, è necessario ma anche difficile. Ed il tema oggi forse più efficace, e sicuramente più usato, per far digerire l'immigrazione e la presenza di immigrati, prime seconde e terze generazioni (due fenomeni ben distinti), alla pancia dell'italiano medio, suona più o meno così: «abbiamo bisogno degli immigrati perchè fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare».

Purtroppo, questo genere di argomentazione non risolve i problemi. Al massimo li rimanda, in qualche modo aggravandoli.

Certo l'idea per la quale «gli immigrati sono disposti a fare i lavori che gli italiani non sono più disposti a fare» è, oggi, in parte fondata.

E' infatti innegabile che una parte consistente dei nuovi migranti accetta oggi lavori faticosi, malpagati, disagiati e, soprattutto, socialmente svalutanti e poco ambiti (è questo, naturalmente, il motivo principale per cui gli italiani li rifiutano), se non altro perchè non ha alternative ed è quindi disposto, pur di portare avanti il proprio percorso individuale e familiare di riscatto, a sopportare i disagi e in molti casi la vergogna. Questa disponibilità da parte dei "nuovi arrivati", unita ad una uguale domanda di questo genere di figure da parte degli imprenditori, sta alla base della continua necessità di manodopera immigrata.

Ciò non significa, però, che la disponibilità a fare questi lavori sia scontata, a-problematica, eterna, "ereditaria".

E convincere oggi la "gente", la popolazione, gli elettori (anche) di "sinistra", a "tollerare", allargando le braccia, l'arrivo di questi servi stranieri perchè necessari ai processi produttivi, come se le migrazioni fossero ancora all'inizio, non espianta nè previene il razzismo ed i conflitti futuri. Al contrario, gli concede un efficace argomento per il futuro: «che ce ne facciamo, ora che rifiutano di fare i lavori che noi non vogliamo fare»? Eppure, come sappiamo, questa "gente" e soprattutto i loro figli sono la società del futuro: rimarranno, alla faccia dei sottosegretari falsamente sprovveduti, com'è sempre successo in ogni parte del mondo soggetta a migrazioni. Rimarranno, e pretenderanno - avendone tra l'altro tutti i titoli - di poter fare anche altro. Abbiamo importato braccia, ci siamo ritrovati persone, dice un detto in voga tra gli studiosi di intercultura.

Già oggi, se da una parte esiste un "bisogno" di manodopera straniera non qualificata, esistono in Italia prime e seconde generazioni qualificate e stabilizzate, che già ambiscono a qualcosa di più, che hanno i mezzi per poter contribuire in modi maggiormente qualificati al benessere collettivo, e che hanno il loro diritto ad esistere e a reclamare il proprio diritto civile all'eguaglianza, cioè all'avere alternative ai lavori che gli italiani "di sangue" non vogliono più fare. Già oggi, il migrante non è necessariamente nè solo uno straccione.

Cosa succederà quando, cosa che appunto già in parte succede, gli immigrati (o meglio i loro figli con la pelle scura, anche troppo integrati) non si limiteranno a voler fare quei lavori che noi tanto evitiamo e disprezziamo? Cosa succederà quando i figli degli immigrati, pelle scura o cognome slavo, vorranno diventare dottori, professori, professionisti, politici, ginecologi, soldati, pubblici ministeri?

Succederà, prima di tutto, che ci sarà "bisogno" di altri immigrati per fare i lavori che gli italiani ed i "migranti" più anziani, o i loro figli e nipoti, per un motivo o per l'altro (aspettative, capacità, senso di dignità) non faranno.

E succederà, banalmente, che i nodi della questione razzismo verranno al pettine.

Si vedrà, in primo luogo, se gli italiani saranno pronti ad accettare l'Italia multietnica, meticcia e meritocratica, o se invece i pregiudizi razzisti ed i timori infondati rimasti latenti riemergeranno riproducendo lo schietto razzismo: quella repulsione fisica e quella incapacità di provare fiducia nelle qualità morali e intellettuali del diverso per "razza" o per "origine", che oggi vivono più che mai (seppure a mezza bocca) nell'Italia profonda, assopite solo in parte dalla convenienza, cioè dai benefici garantiti a tutti dal fatto di avere a disposizione uno stuolo di schiavi da fonderia, di coolies ossequiosi e di badanti "affettuose".

E si vedrà, in secondo luogo, se il sistema italiano sarà stato in grado di includere le seconde generazioni e di offrirgli opportunità pari a quelle degli autoctoni, come esse - in ossequio alla nostra costituzione - devono pretendere. Al contrario, il senso di esclusione genererà le banlieu.

3 commenti:

  1. visto che tu affronti il problema dal punto di vista del lavoro, ti dirò, secondo non solo me, che:
    - l'Italia, col suo tasso di disoccupazione, non aveva bisogno di migranti da impiegare in lavori poco qualificati; è che ai piccoli imprenditori ha fatto comodo sfruttare una manodopera (che si riversava da noi grazie al fenomeno delle guerre che anche il nostro paese finanzia) ad un minor costo, senza mettere in regola, col ricatto della denuncia (mentre gli industriali hanno portato le fabbriche all'estero!);
    - le leggi che sono state fatte per aggirare l'articolo 18, hanno causato una precarietà che sta facendo tornare anche i laureati ad accettare qualsiasi lavoro (complice l'introduzione del reato di clandestinità con cui cominciano ad avere paura di incorrere i "padroni" - tranne che per le badanti, per le quali hanno sorvolato perchè lo stato ha tagliato i fondi per l'assistenza agli anziani, e fa comodo a certe famiglie avere una persona a servizio notte e giorno, visto che offrono quell'alloggio che altrimenti sarebbe difficile trovare)...

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  2. ciao Angie, grazie per il commento più tosto dall'apertura del blog :)

    Anche se il tuo contributo mi sembra soprattutto relativo al lavoro irregolare, da combattere senza quartiere indipendentemente dalla nazionalità della vittima, la posizione che hai espresso è sicuramente interessante e diffusa, sia in parte del mondo sindacale e nel marxismo classico (migranti come crumiri, come "esercito industriale di riserva") sia nel discorso xenofobo (niente paura so già da che lato "collocarti", a naso).

    Io penso che sia necessario combattere il lavoro nero ed assicurarsi che le condizioni lavorative minime siano dignitose per tutti. In un contesto simile, secondo me, ci sta il fatto che vi siano mansioni e condizioni che la popolazione autoctona rifiuta e che i migranti accettano, in via "provvisoria", contribuendo in qualche modo -tra l'altro- ad abbassare i costi e a salvaguardare anche i "privilegi" dei lavoratori a tempo indeterminato (è un ragionamento un pò cinico, ma ad un certo livello di compromesso può mettere d'accordo tutti). Questo fenomeno è, secondo me, abbastanza inevitabile perchè funzionale ai processi economici, e non si possono chiudere le frontiere (sennò a fare quei lavori a quelle condizioni ci finirebbero veramente le centinaia di migliaia di disoccupati italiani che si troverebbero subito per strada). Basterebbe rendere i datori di lavoro, e non i lavoratori, veramente ricattabili laddove non rispettano i minimi; ed allo stesso tempo, avere cura che i minimi siano dignitosi.

    d'altra parte questo mio pezzo si voleva riferire più che altro al "cosa fare" dei migranti o dei figli di migranti che vogliono poter ambire a qualcosa di più del posto flessibile in fonderia al minimo sindacale per tutta la vita. Credo che questo problema esista.

    Riguardo alla "necessità" di lavoratori immigrati, soprattutto nei momenti di "crisi", ho meno argomenti solidi. Se non, evidentemente, l'idea un pò cinica per la quale "servono" in determinati settori a ridurre i costi di produzione, e a emancipare gli autoctoni dalle occupazioni più spiacevoli: grazie alle "badanti", banalmente, le donne italiane possono uscire di casa e realizzarsi professionalmente, così come grazie ai migranti che lavorano in fonderia assunti dalle agenzie qualsiasi italiano o quasi può oggi diventare un quadro, e molti italiani possono continuare ad ambire al contratto a tempo indeterminato. Ed in periodo di crisi nulla vieta agli italiani di mettersi in competizione ai minimi sindacali: a parità di condizioni di lavoro, sicuramente gli italiani vengono preferiti ai migranti (il problema è quando le condizioni di lavoro non sono così "dignitose"; ma questo ricade, abbassando i costi, ai benefici di tutti).

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  3. io sono stata anche accusata di razzismo all'incontrario, perchè auspico che gli stranieri prendano quei posti che devono poter competere ad ogni essere umano (secondo le proprie possibilità e a ognuno secondo le proprie necessità, era così?), senza essere schiavizzati:
    ho avuto un amico marocchino (non so adesso dove sia), laureato in matematica al suo paese, da 15 anni in Italia senza essere riuscito a regolarizzarsi, e senza aver potuto insegnare (che era quello che voleva fare); ho un'amica rumena, i quali datori di lavoro non lasciano neanche uscire con un uomo (ti ricordi i film neorealisti dove la "domestica" era sempre veneta? in quel caso le giornate libere erano permesse, e senza intromissione nella vita privata);
    e potrei continuare con la ragazza africana che spera di andare in Germania per poter fare il medico, oppure parlarti di mio figlio italiano che lavora per 5,6 euro all'ora...
    penso che ci vorranno più di due-tre generazioni, senza contare che i diciottenni non ancora in regola, una volta finita la scuola (e abbiamo avuti esempi di presidi che "rastrellavano") per assurdo dovranno lasciare il paese, anche se i loro gentori sono regolari!
    (e non voglio pensare alle madri che, per paura di vedersi sottrarre il figlio - secondo le nuove norme del pacchetto sicurezza - , non andranno a farlo nascere in una struttura pubblica; o non lo faranno nascere affatto, col mercato nero che già c'è di "pillole abortive"):
    questo per dire che le conseguenze del razzismo sono già qui (anche se non penso si possa arrivare al fenomeno delle banlieu, non ci sarà una discriminazione così elevata: del resto, i nostri ghetti sono quelli dove da tempo la fanno da padrona la mafia, lo spaccio di droga etc. etc.!)

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