Lo scorso 21 gennaio, all'alba della fase finale della rivoluzione tunisina, il New York Times dedicava un ampio articolo, intitolato "come un solo fiammifero può innescare una rivoluzione", al riemergere nella Storia dell'atto estremo di darsi fuoco per protestare politicamente contro le ingiustizie e i soprusi.
L'atto iniziale della rivoluzione tunisina era stata proprio l'autoimmolazione di Mohamed Bouazizi, un ventiseienne laureato che si era ritrovato a fare l'ambulante abusivo per vedersi infine la merce confiscata dalla polizia di Sidi Bouzid. Bouazizi, sicuramente esasperato e in preda allo sconforto, aveva scelto di dare voce alla propria protesta rifacendosi proprio all'atto estremo impresso nella memoria e nell'immaginario collettivo - e probabilmente anche nell'inconscio globalizzato dello stesso Bouazizi - soprattutto dai bonzi vietnamiti e da Jan Palach. In maniera sicuramente inaspettata, il gesto estremo di Bouazizi ha trovato terreno fertile nella Tunisia (e sull'intera sponda sud del Mediterraneo) contemporanea dove - per farla breve - i dannati della terra si sono sollevati per protestare contro la miseria e per urlare la propria volontà di dare una scossa alla situazione.
"One thing is strongly suggested by the academic studies: People are more likely to copy suicides if they see that they have results, or get wide attention", aveva scritto il NYT citando il sociologo David Phillips, teorico dell'effetto Werther. Ed è proprio qui, molto probabilmente, che dobbiamo cercare il significato profondo del gesto di Noureddine Adnane, ventottenne venditore ambulante e migrante modello da libro Cuore che ha deciso di reagire ad un sopruso e sicuramente ad un pesante disagio generale che covava dentro rifacendosi, ma nella vicina ed europea Palermo, all'archetipo dell'auto-immolazione col fuoco.
Anche Nouraddine è morto; ma su questa sponta stanca del Mediterraneo, il suo grido di estrema rivolta è valso 5.000 euro di beneficienza alla famiglia da parte di Schifani.
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