martedì 5 ottobre 2010

L'esotismo nell'altro che uccide

Ci deve essere sempre qualcosa di esotico nell'altro che uccide; ma basta un dettaglio, quel tocco di etnico in più, per alimentare attraverso la cronaca le visioni distorte e i pregiudizi controproducenti. 

Guardate i titoli dei giornali: lo straniero che uccide lo fa sgozzando e non accoltellando; lapidando e non semplicemente colpendo con oggetti contundenti; lo fa con l'aiuto del clan familiare e non con l'aiuto di complici; lo fa perchè esiste l'Izzat (che è sinonimo di onore ma va ben esplicitato nel suo rimandare all'altrove) e non perchè è un padre-padrone; ed infine spesso seppellisce, magari nell'orto e con la testa girata alla Mecca, invece che occultare. Mica come noi. Dettagli macabri contro eufemismi: dettagli che rafforzano però nella mente del lettore il pregiudizio, l'idea di avere a che fare con un mondo culturale irriducibile. Perchè l'associazione tra cultura e tendenze omicide emerge forte da queste differenze lessicali; quasi a dire che i pachistani lapidano e sgozzano, e non c'è niente da fare, perchè sono abituati a veder la gente lapidata o sgozzata per le loro strade. "E' la loro cultura", ti verrebbe da dire a leggere il giornale; peggio: "è la loro natura".

Queste distorsioni non aiutano nessuno: peggiorano soltanto il clima. Come non aiuta la Carfagna che si costituisce parte civile, la Santanchè e la Sbai che manifestano fuori dal tribunale, la Bertolini che incolpa il "multiculturalismo" e tutte le altre espressioni indegne del femminile occidentale (nonché tutti gli antropologi da rivista per shampiste) che alzeranno la voce in questi giorni con atteggiamento compiaciuto (ve l'avevamo detto, votate noi!).

Vorremmo sapere cos'hanno fatto di concreto, loro che ne avrebbero il potere, per aiutare queste donne che non sanno a chi rivolgersi e che se lo fanno rischiano di non avere alcuna protezione.

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