martedì 18 maggio 2010

La guerra dell'hummus e i comunitarismi gastronomici

Tra Libano e Israele è scoppiata una guerra culinaria: quali piatti sono arabi e quali israeliani? Il cibo, per qualche strano motivo, è spesso al centro di rivendicazioni identitarie: celebri gli slogan e i manifesti più polenta e meno cous cous, ma anche le lotte al Kebab. Ma ha senso parlare di furti e di appropriazioni di cultura, specie in ambito culinario? Ha senso considerare le culture come "cose" e come marchi registrabili? Il pezzo integrale è di Osservatorio Iraq.
«La questione di natura strettamente culinaria non ha ovviamente tardato a divenire una diatriba politica. La parte libanese ha infatti apertamente accusato Tel Aviv di volersi appropriare delle tradizioni culinarie arabe e non a caso ha celebrato il conseguimento dei due nuovi record [per il maggior quantitativo di hummus e felafel cucinati] alla stregua di una vittoria militare. Molte testate on-line hanno aperto con titoli come “Il Libano ha vinto la guerra dell'hummus” dimostrando come la questione sia fortemente sentita a livello nazionale.

Del resto "la guerra dell'hummus" fra Libano ed Israele non era sconosciuta alle cronache regionali. Già due anni fa alcuni uomini d'affari di Beirut come Fadi Abboud, presidente dell'Associazione degli industriali libanesi [Ndr. notare: degli industriali libanesi], aveva pronunciato parole di fuoco contro Israele accusandolo testualmente di "non voler rubare solo la terra, ma anche le nostre tradizioni e la nostra cultura".

Secondo Abboud, Israele avrebbe derubato le cucine arabe anche di piatti tradizionalmente libanesi o palestinesi come la baba ghannouj, una purea di melanzane, e la tabbouleh, un'insalata mista principalmente composta di prezzemolo tritato e pomodori.

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