giovedì 22 aprile 2010

Dietro le "Badanti". Orfani sociali, spaesamenti e altri effetti collaterali

Negli scorsi giorni ho potuto assistere al seminario di presentazione di un libro, scritto da una giovane sociologa di Padova, che studia il tema delle "badanti" a partire da un'intensa attività di ricerca, osservazione e intervista condotta in parte in Veneto in parte in Ucraina.

Voglio brevemente condividere alcuni aspetti, spesso ignorati dal dibattito, che mi hanno colpito.

Le "badanti" ucraine sono soprattutto donne oltre i 40-50 anni; dopo la dissoluzione del socialismo reale hanno spesso perso il loro impiego qualificato andando incontro a grosse difficoltà economiche. Spesso l'intera famiglia è stata travolta dalla crisi: mariti rimasti disoccupati, o che mantengono lavori insufficienti a garantire reddito per salvaguardare la loro immagine sociale; spesso queste difficoltà hanno portato a crisi anche coniugali conclusesi con divorzi e separazioni. Queste donne si sono quindi trovate spesso sole, con il bisogno di diventare principali procacciatrici di reddito. A volte partono gli uomini: destinazione Russia, Repubblica Ceca e Polonia, dove lavorano come manovali (i due terzi degli emigranti ucraini sono uomini). Ma spesso sono le donne a trovarsi costrette a partire.


A casa, queste donne lasciano i figli, spesso in età adolescenziale o pre-adolescenziale. I mariti, dove ancora presenti (e non hanno divorziato), generalmente si curano ben poco di loro; spesso, formalmente, i ragazzi ricadono sotto la responsabilità di nonni e zii ma, specie nelle grandi città, essi vivono lontano dagli appartamenti dove i ragazzi rimangono di fatto a vivere da soli. In Ucraina, questi "orfani sociali" sono considerati una piaga tanto che i giornali locali non fanno che parlarne con toni allarmistici: scarsi risultati scolastici, problemi di alcol e droga. D'altra parte non sono altro che adolescenti lasciati a vivere soli, o sotto il controllo di fratelli o di zie lontane, con una madre lontana che perde autorità e invia laute paghette per compensare e motivare la distanza. 

Le madri in Italia lavorano duramente per pagare l'università, l'avviamento professionale, le nozze; mandano frequentemente regali anche banali, per "rappresentare" l'interessamento e la cura. Ma spesso ciò non basta.

La migrazione non è traumatica soltanto per i figli, ma anche per le donne stesse. Finchè vivono in Ucraina esse sono madri, donne istruite, professioniste: anche se hanno perso il lavoro hanno una loro identità rispettabile e costruita, come qualsiasi quarantenne e cinquantenne. Il giorno dopo la partenza, tuttavia, questa eredità si è già sbriciolata: lavori umilianti, e non riconosciuti socialmente, di fronte alle quali queste donne (in patria molto spesso "impiegate di concetto") sono per di più impreparate. Zero autonomia, per donne abituate ad avere la massima libertà di carriera e di movimento improvvisamente murate in appartamenti dove tutto è regalato, dove sono obbligate - se non vogliono perdere il lavoro, o se ambiscono a una mezza giornata libera - anche ad essere ossequiose ed affettuose

Non basta il fatto che queste donne tamponano sulla loro pelle le carenze del nostro welfare e liberano le giovani donne dal peso di questo penoso lavoro full time di cura.

In ogni caso, la loro condizione non è buona. Non che si aspettassero nulla; ma l'impatto è traumatico. Cominciano così a mitizzare il momento del ritorno a casa: a sognarlo, a immaginarlo, a stabilire quote e limiti massimi di permanenza. Ma questo rientro, sempre presente sull'orizzonte, spesso si rivela molto lontano: le esigenze si moltiplicano, e le donne cominciano a ricostruirsi un embrione di vita sociale, qualche amicizia e qualche legame tra le connazionali, che le convince a restare ancora un pò.

In Ucraina, nel frattempo, le cose non migliorano e le relazioni si lacerano: gli uomini si lasciano andare, i figli vivono male l'allontanamento e rifiutano l'autorità materna. La città di origine diventa, ai loro occhi, piccola, gretta e provinciale. Per non parlare del fatto che quì non sono più madri e professioniste con un'immagine sociale rispettabile e legami sociali, ma semplici migranti che hanno speso anni in attività umilianti.

Quando tornano a casa, spesso per una breve vacanza, trovano che tutto è cambiato; sono loro, le prime ad essere cambiate. Spesso, tuttavia, il ritorno in patria è l'unica soluzione: in Italia non hanno le risorse per poter avere nemmeno una vita autonoma, nemmeno un monolocale tutto loro. Arrotondano vendendo informazioni e posti di lavoro alle connazionali nuove arrivate, ma ciò non basta. A volte ritornano convinte di rimanere in patria, ma poi dopo poco scelgono di emigrare di nuovo.

Oppure, quando sono troppo vecchie per fuggire ancora, vi rimangono, ma con mille sofferenze e disagi.

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