Il Guardian pubblica un lungo e affascinante articolo sulla Street Photography, cioè sul genere fotografico che si basa su immagini di vita più o meno quotidiana scattate nei luoghi pubblici senza allestimenti artificiosi e senza che al soggetto sia lasciato il tempo di "mettersi in posa".
Garry Winograd, World's Fair (NWC, 1964)
L'articolo ripropone la storia di questa arte, sospesa tra pura estetica e gusto per il reportage etnografico: un'arte che si basa su un certo grado di sfacciataggine, ma che allo stesso tempo costituisce - secondo me - la parte più interessante dell'arte figurativa contemporanea. Ne emerge come, in un'epoca in cui chiunque scatta migliaia di foto simili di sè stesso, pubblicandole in maniera più o meno protetta online, e in un'epoca in cui chiunque passa decine di volte al giorno sotto l'occhio di camere e microcamere di sicurezza, la Street Photography sia paradossalmente sempre più oggetto di critiche e restrizioni che adducono come motivazione la Privacy.
Nell'epoca delle telecamere, dei bodyscanner e del tag facile; nell'epoca dell'autoesibizionismo (artefatto) e della morte del concetto di "privato", secca proprio il fatto che a finire nel mirino del securitarismo sia la principale genuina forma di arte povera e contemporanea.
Colpevole, sì, di ritrarre persone in atteggiamenti privati. Ma che, allo stesso tempo, non associa i volti ai nomi, rimane spesso in un ambito ristretto e non fa che limitarsi ai luoghi e alle rappresentazioni pubbliche.
Colpevole, sì, di ritrarre persone in atteggiamenti privati. Ma che, allo stesso tempo, non associa i volti ai nomi, rimane spesso in un ambito ristretto e non fa che limitarsi ai luoghi e alle rappresentazioni pubbliche.
Già fa davvero rabbia! Ma noi fotografi di strada andiamo avanti sapendo benissimo che non stiamo ingìfrangendo alcuna legge!
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