"Perché, mentre negli USA, in Francia e anche in Italia i super-ricchi (o meglio alcuni di loro) scrivono lettere aperte sostenendo che i ricchi hanno in tempo di crisi il dovere di aumentare il loro contributo economico al paese, i riccastri britannici continuano a far finta di niente?" si chiede Bagehot, blog dell'Economist ("How not to soak the rich")?
Tra le varie risposte, ne spicca una: l'élite britannica è un'élite cosmopolita e quindi egoista: non essendo attaccata a nessun luogo, non ha a cuore il destino delle comunità e delle nazioni su cui abita e opera.
"Why are the British such outliers? For those who already dislike modern Britain, the tycoons’ silence offers fresh evidence that—three decades after Margaret Thatcher’s free-market revolution—her homeland is morally adrift somewhere in the mid-Atlantic: shunning the faith-driven philanthropy that accompanies great American wealth, but also the notions of social solidarity that keep Europe’s richest in check. (...) For another thing, many of Britain’s richest residents are either foreign nationals or members of a restless, rootless global elite. In Paris or Milan, boardrooms are filled by the same few, politically connected grandees: the sort of people now writing letters offering to pay more tax. The glass towers of the City of London have more in common with the multinational benches of a top-flight football club, with all the footloose selfishness that implies (albeit with fewer tattoos)".
Tuttavia, cosmopolitismo non è necessariamente sinonimo di egoismo e individualismo; al contrario, può benissimo essere foriero di forma di un "altruismo" più ampio che non si limita ai confini della comunità nazionale ma che al contrario abbraccia l'intero pianeta. Racconta K. Anthony Appiah, docente di filosofia a Princeton, cosmopolita per storia di famiglia:
Quando mio padre morì, le mie sorelle e io trovammo una bozza del messaggio finale che intendeva lasciarci. Il suo racconto sommario di chi eravamo cominciava con il ricordo della storia delle nostre due famiglie, in Ghana e in Inghilterra. Ma poi scriveva: "Ricordate che siete cittadini del mondo". E continuava dicendoci che questo significava che in qualunque posto avessimo deciso di vivere - e, come cittadini del mondo, potevamo sicuramente scegliere di vivere ovunque volessimo - avremmo dovuto lasciare quel luogo "meglio di come l'avevamo trovato".
(K. A. Appiah, tratto da Cittadini del Mondo, di K.A.Appiah, in AA.VV., "La debolezza del più forte", Mondadori 2004)
Il cosmopolitismo non è una scusa dietro cui nascondere il puro e semplice egoismo.
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