Pino Rossi, sindaco di Gallio (2.000 abitanti, provicina di Vicenza), è salito agli onori delle cronache perché si è recato di persona nella struttura dove sono parcheggiati i 34 profughi che verranno smistati nei comuni del vicentino per scegliere di persona l'immigrato da ospitare nel proprio comune. Ha dichiarato ai giornali che dovrà corrispondere al seguente identikit: "Giovane e cristiano" ("Giovane e cristiano". Il sindaco si sceglie il profugo). Prima di farlo si è consultato anche con il parroco, evidentemente di più ampie vedute, che ha dichiarato di non condividere la sua volontà di scegliere le persone più giovani, ma si è trovato d'accordo "nel dire che un rifugiato di fede cristiana avrebbe meno difficoltà di integrazione, soprattutto in una realtà montana in cui non ci sono figure di riferimento per la fede islamica".
Alcuni sindaci di comuni vicini hanno protestato contro questa iniziativa: "non siamo mica al mercato delle vacche" hanno detto. Eppure, l'immagine di un sindaco che sceglie di persona l'immigrato da "ospitare" così come al canile si sceglie il randagio da regalare alla propria fidanzatina, non è poi troppo lontano dalla politica migratoria auspicata da molti (e già in parte messa in pratica in Italia).
L'idea di definire delle quote divise per paese di origine, privilegiando i giovani scapoli provenienti dai paesi con i quali l'Italia ha stipulato accordi di collaborazione (per i rimpatrii) tenendo anche conto delle "affinità culturali", è infatti uno dei cardini del "modello italiano per la gestione delle migrazioni" messo nero su bianco dall'ex segretario Mantovano.
Non c'è poi molta differenza tra lo scegliersi di persona - sulla base di criteri inconsistenti - il migrante, come si trattasse di uno schiavo, di un cavallo o di un randagio, e tra l'istituire quote sulla base dei medesimi criteri (a partire dalle medesime presunte affinità culturali). Tuttavia, basta un tocco di virtualità, basta allontanare il momento della scelta dallo sguardo, per far passare tutto come perfettamente civile, lecito e "naturale".
Non c'è poi molta differenza tra lo scegliersi di persona - sulla base di criteri inconsistenti - il migrante, come si trattasse di uno schiavo, di un cavallo o di un randagio, e tra l'istituire quote sulla base dei medesimi criteri (a partire dalle medesime presunte affinità culturali). Tuttavia, basta un tocco di virtualità, basta allontanare il momento della scelta dallo sguardo, per far passare tutto come perfettamente civile, lecito e "naturale".
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