"C’è una principessa nella testa di ognuna di noi. Dobbiamo distruggerla" scrive Laurie Penny su Internazionale (Il culto delle principesse non è una favola).
La premessa è l'indiscutibile fascino esercitato dall'immaginario e dalla figura della principessa sulle bambine e spesso anche sulle adulte - immaginario che viene opportunamente sfruttato e reiterato dall'industria del cinema, dei giocattoli e del gossip. L'autrice, quindi, si chiede: quale messaggio e quale visione della donna tradisce e propone l'immaginario della principessa?
"Kate Middleton è la perfetta principessa di oggi, nel senso che appare sostanzialmente senza carattere: una bambola da vestire per l’epoca dell’austerità. I nuovi muscoli reali sembrano così rigidamente contratti in quel perenne e lucidato sorriso di docile modesta arrendevolezza che quando ha aperto la bocca per parlare durante la cerimonia in mondovisione, sono sobbalzata sulla sedia. Alla fine si è scoperto che ha detto solo “Sì”, come se qualcuno avesse tirato una cordicella dietro quell’abito principesco per attivare una suono di rituale accettazione. Il breve cammino di Kate da figlia di un milionario a duchessa di Cambridge è stato malamente adattato al vecchio schema di Cenerentola, con commentatori sdolcinati impegnati a descriverla come una donna qualunque che, grazie al fatto di essere carina, poco invadente e opportunamente sottopeso, ha ottenuto in prestito un diadema da principessa".
In fondo, scrive la Penny, il "culto della principessa" non è altro che quel "culto della mobilità sociale" che risale all'epoca in cui tutte le speranze di status e di miglioramento della condizione sociale della donna dipendevano dal matrimonio: "una fantasia di tradimento di classe - scrive la Penny - grazie alla quale le brave bambine crescendo riescono a ottenere cameriere e maggiordomi".
Certo: chi oggi propone, soggiace o è succube dell'immaginario della principessa, sembra nutrire l'idea della donna come soggetto passivo, silenzioso, poco invadente. Ma il culto delle principesse non si riduce nel presente a tutto ciò: il culto delle principesse è anche una reazione al culto delle nuove donne oggetto e della iper-sessualizzazione. La principessa è, in un certo senso, un'anti-velina. Scrive la Penny: "La principemania è concepita da alcuni genitori come una forma di difesa dalla “sessualizzazione precoce”: il portamatite con il coniglietto di Playboy e le magliette da lolita che altre bambine reclamano a gran voce. Le principesse sono viste come una innocente fantasia che offre virtuosi vantaggi rispetto ai lecca-lecca e ai volteggi intorno al palo della puttanaggine adolescenziale".
Conclude magistralmente la Laurie:
Alle ragazze vengono offerti due modelli antitetici di femminilità docile e pseudoliberata: la principessa e la pornostar. È un’alternativa che esiste da secoli: vergine o puttana, un bel principe o un bel pappone, chi ti vuoi scopare per conquistare fama e fortuna? Oggi lo spettro colorato delle aspirazioni femminili va solo dal pallido rosa pastello allo sgargiante rosa sexy, con un’occasionale deviazione per il bianco nuziale. Ma lì fuori c’è un intero arcobaleno di esperienze tra cui le ragazze possono scegliere. La mania delle principesse non è solo un fallimento del femminismo, ma un fallimento dell’intera società che non sa rispettare e valorizzare le sue giovani donne offrendogli qualcosa di più di una inconsistente e rosa fantasia da vissero sempre felici e contenti. Non c’è niente di male nel fantasticare un po’, ma per le bambine di tutto il mondo ci sono sogni migliori che voler solo essere carina come una principessa.
Peccato che le linee di giocattoli e le televisioni commerciali e per bambini non si nutrono di sfumature.
Nessun commento:
Posta un commento