"Due anni fa conobbi il sindaco di Firenze Matteo Renzi, che con un gentile gesto di ospitalità si congedò invitandomi ad andarlo a trovare quando mi fossi trovato nella sua città. Mi avrebbe mostrato quello che stava facendo (era ancora presidente della Provincia) e poi rinnovò il suggerimento a godersi le indiscutibili attrazioni locali: “andate a vedere la Madonna del Cardellino!” Io, approfittando di una mia proverbiale mancanza di diplomazia e della sua pazienza da giovane ex scout, gli risposi affabilmente che non se ne poteva più della Madonna del Cardellino e di tutte-le-bellezze-che-il-mondo-ci-invidia e “il nostro Rinascimento” e che due palle che una città col capitale di grandezza, cosmopolitismo e capacità di attrazione come Firenze si fosse seduta da decenni sui suoi capolavori di mezzo millennio prima e sulle sue botteghe di pizza e pellami" (Luca Sofri).
Mi unisco a questo accorato sfogo.
L'idea di una Firenze tutta votata al passato incapace di inserirsi nel presente e nel futuro se non come "custode" mi fa venire in mente un articolo molto bello (e dedicato proprio all'Italia) del New York Times di cui vi consiglio la lettura. Vi sembrerà di trovarvi di fronte ai nobili decaduti dei racconti di Verga, al lento declino del Gattopardo e della sua specie, al Romolo il Grande ormai smarrito di Durrenmatt; solo che ad essere aristocratico e decadente è l'intero nostro paese troppo fiero di un passato che non capisce (e che riduce a folklore: la statua, l'artigiano, la piazza, la pizza) per provare a inventare un nuovo rinascimento.
Non dico che non si possa tirare avanti, che - come scrive Sofri - per un altro millennio in un modo o nell'altro non la si possa sfangare. Ma se così sarà, di sicuro non avremo nulla di cui andare fieri.
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