Tutti ne parlano: la Lega Nord ha proposto un provvedimento che vuole obbligare i migranti che desiderano aprire un negozio a superare un test di Italia e a esporre soltanto un'insegna in italiano, dialetto o altra lingua comunitaria.
Da anni la Lega cerca di ostacolare in tutti i modi queste forme di imprenditorialità. Dimenticando che queste persone non fanno altro che rivitalizzare i centri storici, che i commercianti italiani abbandonano perchè non redditizi: perchè sono cambiati i modi di fare la spesa, ed esclusi i pochi anziani residenti, gli acquisti si fanno al centro commerciale più assortito, scintillante ed economicamente competitivo.
Il piccolo negoziante non può competere: a meno che non accetti di azzerare i propri guadagni dedicando tutta la propria vita al negozio, e facendolo semplicemente per tirare a campare.
I negozianti immigrati sono socialmente utili. Oltre a far sopravvivere i negozi di vicinato, permettendo agli anziani di non dover fare chilometri per fare la spesa, riescono addirittura ad abbassare i prezzi e a garantire comodi e ampi orari di apertura.
E lo possono fare perchè sono disposti a lavorare 16 ore coinvolgendo tutta la famiglia, sfruttando loro stessi e magari qualche connazionale. Lo fanno rinunciando a ferie, automobili, lussi, profitti: lo fanno, dedicandovi in sostanza interi anni della propria vita. In altre parole: forniscono un servizio utile, al prezzo della qualità della loro vita. L'unico problema, in tutta la faccenda, è semmai questo: regolamentare un settore in cui sfruttamento e autosfruttamento sono la norma.
In tutte le economie avanzate il commercio al dettaglio è un settore "da immigrati". Migranti che hanno successo, nonostante il razzismo e la diffidenza che farebbe la fortuna di qualsiasi negoziante reduce italiano disposto a sacrificarsi un terzo di quanto si sacrifica il collega immigrato.
Ringraziarli forse è eccessivo. Ma almeno, padanamente, lasciateli lavorare in pace.
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