mercoledì 31 marzo 2010

Non dare mai la mano a una donna afgana

Non è costume di questo blog riprendere pari pari interventi tratti da altre fonti. Questa volta però faccio un eccezione per questo bell'articolo, scritto da una giovane afghana e tradotto per l'Italia da Global Voices- La Stampa
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Un giorno, durante la lezione di opinione pubblica, qualcuno busso' alla porta. Ci voltammo tutti per vedere chi stava entrando. Eravamo un gruppo di tredici donne e cinquanta uomini, tutti impegnati a prendere appunti durante la lezione.

«Si', avanti», fece il professore.

Entrarono due uomini in completo nero e andarono direttamente a stringere la mano all’insegnante. “As-Salamu Alaykum ,” disse il primo uomo. “Questo è Rakish, un mio collega. Veniamo entrambi dal Parlamento e lavoriamo per l’organizzazione NDI. Vogliamo informare lei e i suoi studenti che il Parlamento ha deciso di assumerne alcuni come praticanti.”

“Benvenuti,” rispose il professore.

“Cari studenti, il nostro obiettivo è di sviluppare le abilità dei giovani, come voi, per darvi l''opportunità di trovare lavoro una volta laureati," proseguì l''uomo. “Per questo siamo venuti a chiedervi di inviare i vostri CV al nostro ufficio. Qui ci sono tutte le informazioni che vi servono." L’uomo porse a uno degli studenti in prima fila un fascio di fogli da distribuire agli altri.

“Potete inviare il CV al nostro ufficio. Troverete tutte le informazioni riguardanti la nostra organizzazione e il programma di tirocinio in questo foglio. In base al CV e al vostro livello di conoscenze, selezioneremo una rosa di candidati da intervistare. Pensiamo di assumere forse due o più persone per ogni classe." Rimase un attimo in silenzio e poi aggiunse, “Vogliamo dirvi che daremo priorità alle donne.” Con quella frase terminò il discorso e si rivolse nuovamente al professore per stringergli la mano.

I visitatori lasciarono l’aula e poco dopo anche il professore andò via, essendo terminata la lezione. Gli studenti iniziarono a raccogliere le proprie cose e diversi cominciarono a bisbigliare, inizialmente a bassa voce, poi con toni sempre più alti e tra sorrisetti di scherno. “Prima le donne,” risero.

“Magari fossi una ragazza,” fece uno di loro, adesso ad alta voce.

“Quanto vorrei esserlo anch’io,” aggiunse un altro.

“Anch’io,” intervenne un terzo. E di nuovo scoppiarono a ridere.

“Signori, è inutile inviare il nostro CV," proclamò il primo. “Saranno le donne a vincere.” La sua aspra risata risuonò tra le pareti della classe. “Lasciatele affermare i propri diritti.” E un forte sghignazzo riempì la stanza.

Noi ragazze rimanemmo in silenzio. Cosa avremmo mai potuto dire noi tredici contro cinquanta di loro, cresciuti nella nostra cultura dove sono gli uomini ad avere potere e le donne non hanno voce? Decidemmo così di ignorare i loro commenti, promettendo però a noi stesse di candidarci a quel programma. Era buona un’opportunità.

Raccogliemmo i nostri CV e li inviammo al responsabile, come ci era stato indicato. Siccome frequentavo già un corso di inglese e sentivo che avrei potuto candidarmi in un altro momento durante gli studi universitari, non inviai il mio CV. Alcuni dei nostri compagni di corso, sia uomini sia donne, vennero selezionati per l’intervista. Tra le donne c’era una ragazza di cui non rivelerò il nome e che chiamerò semplicemente A. Era la prima della classe e aveva ottime probabilità di farcela. A. mi chiese di accompagnarla all’intervista ed io ne fui felice perché era la mia migliore amica.

Quando arrivammo alla sede della selezione, ci informarono che quasi tutti i nostri compagni erano già arrivati. Il rappresentante della NDI ci disse di aspettare e che avrebbero chiamato i candidati per cognome. Quando la chiamarono, A. mi lasciò i libri e andò a farsi intervistare. Dieci minuti dopo ritornò con un’espressione triste in volto.

“Come è andata?” le chiesi.

“Bene, ma….” fece una pausa.

“Ma cosa?”

“Non mi sono comportata tanto bene.” Era sull’orlo delle lacrime.

“Cosa vuoi dire?” Le chiesi. “Dai, non sono forse la tua migliore amica? Dimmelo. Non vedi, sono venuta per sostenerti. Mi stai nascondendo qualcosa.”

“Ho fatto qualcosa che non avrei dovuto,” fece, abbassando gli occhi. “C’era un uomo straniero tra gli intervistatori. Mi ha porto la mano per stringerla. E così, Freshta, gli ho stretto la mano. Ho pensato che se non lo avessi fatto, si sarebbe offeso e l’avrebbe interpretato come una mancanza di rispetto nei suoi confronti. Non volevo che pensasse di avere a che fare con una retrograda come i talebani. Non sa che la nostra religione e la nostra cultura proibiscono alle donne di dare la mano a un uomo. Freshta, avevo paura di essere mandata via se non gli avessi stretto la mano”. A. mi guardò. “Sono sicura che se lo avesse saputo, non l’avrebbe fatto.”

Le dissi di non pensarci, ma lei rispose, “Guarda Freshta, non è così semplice. C’erano anche dei nostri compagni di classe. Hanno sorriso quando gli ho stretto la mano. E mentre uscivo dall’ufficio, ho sentito qualcuno bisbigliare, “Guardala lì. Per un lavoro, è disposta a fare di tutto.” E ho sentito qualcun altro dire, “Così tanta gente dimentica la propria religione e cultura.”

Io e A. continuammo a discuterne a lungo. Parlammo di come queste cose apparentemente insignificanti siano invece davvero molto importanti. Concordammo sul fatto che le persone che vanno in giro per il mondo dovrebbero prima imparare qualcosa della cultura dei posti dove andranno, in modo da evitare episodi spiacevoli. A uno straniero non succede nulla se stringe la mano a una donna, ma per una donna del nostro Paese ciò può avere conseguenze pericolose. I visitatori uomini non sanno che non devono mai abbracciare una donna, che non dovrebbero sedersi vicino a una donna musulmana, che non è appropriato ridere ad alta voce di fronte a una donna quando è da sola in una stanza senza che sia presente un altro uomo.

In Afghanistan, il tema delle donne è delicato. Dobbiamo indossare il velo. Non possiamo usare abiti attillati. Le donne che non osservano queste pratiche religiose non ottengono alcun sostegno. Soprattutto se decidono di candidarsi a qualche carica pubblica, non riceveranno i voti degli uomini e di alcune donne. La gente parla male di una donna non osservante e la etichetta come "una poco di buono".

A. ottenne poi il praticantato e noi ragazze della classe fummo molto orgogliose di lei. Però il giorno in cui venne annunciato il suo nome in aula, uno dei pagliacci del corso, un uomo, replicò, “Certo, se anch’io fossi una donna e stringessi la mano a un uomo, ce la farei di sicuro.” E per l’ennesima volta, i ragazzi si misero a ridere.

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Testo originale: Do Not Shake My Hand, Please!. Ripreso da Afghan Women''s Writing Project: progetto coordinato in USA dalla scrittrice Masha Hamilton e centrato su produzioni letterarie e altri interventi originali di donne afgane.

1 commento:

  1. Io sono convinta che, in Afghanistan, il tema delle donne "è diventato" delicato, e che la sua "normalizzazione" possa avvenire solo con una vera liberazione (non data certo dall'occidente)!
    Ma parlando di questo caso la ragazza, forse, poteva far presente a chi voleva stringerle la mano (una cosa giusta... ingiusta è piuttosto l'interpretazione del gesto, che viene fatta a motivo di una religione) quello che la sua fede le imponeva (ma non sentendosi minacciata, il suo umano istinto di adattamento alla circostanza ha prevalso);
    penso anche che i ragazzi siano stati discriminati perchè, cercando di offrire parità di opportunità, si è privilegiata una parte rispetto all'altra, anche se non giustifico la derisione.
    Non so se sono riuscita a spiegarmi.

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