giovedì 11 febbraio 2010

Falce, Martello e Tacco a Spillo. La donna oggetto per il bene del partito?

Qualche tempo fa, l'Unità se ne uscì con una campagna pubblicitaria, a cura di Oliviero Toscani, che suscitò non poche perplessità. Consisteva, nel dettaglio, in una zoommata sul lato B di una giovane donna, minigonna di jeans e maglietta rossa, nella tasca posteriore una copia dell'Unità.

La campagna fu, almeno a livello di visibilità, un successo: se ne parlò, e non poco, soddisfacendo in qualche senso l'idea un pò rudimentale per la quale "l'importante è che se ne parli". Ben più discutibili e variegati, però, i messaggi veicolati. Un giornale e soprattutto una cultura al passo con i tempi, in grado di dialogare con la società contemporanea in maniera libera e scanzonata? O al contrario un giornale e una cultura che insegue sul terreno della mercificazione della donna e del marketing a sfondo sessuale la superficialità e il velinismo che un tempo ambiva a contrastare?

Nella stessa direzione, muove una recente campagna tesseramenti di Rifondazione Comunista finita tra le grinfie delle donne di Femminismo a Sud. Le quali lamentano come la scarpa con il tacco a spillo del manifesto, «la scarpa sadomaso della Santanchè», a fianco dello slogan «Mi iscrivo a Rifondazione perchè... sono una donna di classe», non rappresenti la cultura di sinistra, nè le donne di sinistra, mostrando al contrario una sorta di "sudditanza culturale", un richiamarsi alla cultura sessista di cui la scarpa con il tacco è il simbolo, per «adescare maschi».

Entrambe queste campagne sono contraddistinte da un comune denominatore: la voglia di stupire. Stupire il passante distratto, ricordandogli l'esistenza di un giornale, di un partito. Stupire l'oppositore, il maschio per la quale sinistra significa femminismo e femminismo significa donne noiose e insoddisfatte, il maschio che vota le autoreggenti della Brambilla e il tacco a spillo della Santanchè, suggerendogli l'idea che a sinistra non ci sono soltanto dinosauri ma anche gente che si gode (nelle maniere elementari che lui conosce) la vita. Stupire il militante, ricordandogli che i tempi in cui il PCI ostracizzava Pasolini e nascondeva gli adultéri sono passati.

Ma che cosa si sceglie per stupire e per veicolare questo messaggio di innovazione, di "liberazione", di modernità?

Nel primo caso, per ottenere questo doppio effetto si utilizza direttamente un corpo femminile "mercificato", nello stile della peggiore pubblicità. Il problema, non è tanto la minigonna ed il suo significato, quanto l'utilizzo dell'immagine di una donna resa oggetto decorativo ed eccitante a fini commerciali. (la minigonna non è il problema centrale, essendo la minigonna un simbolo che da luogo a interpretazioni opposte: per qualcuno rappresenta la liberazione e l'autodeterminazione; per qualcun altro, il rifarsi all'immaginario della donna tutta superficie, ridotta a decorazione vivente)

Nel secondo, si usa in maniera forse ironica un altro simbolo, il tacco a spillo. In questo caso il simbolo, il tacco a spillo, è sostanzialmente estraneo all'immaginario della sinistra: è "il burqa della società occidentale", che induce le donne docili a procurarsi dolore e scomodità per adeguarsi ad un immaginario creato per stuzzicare gli appetiti maschili. In questo caso il problema sta quindi proprio nella scelta, infelice, del simbolo: un simbolo che anzi si rifà all'immagine di donna che le culture di sinistra da sempre criticano a tutto campo.

I due messaggi, minigonna dell'Unità e tacco a spillo di Rifondazione, ammiccano alla mercificazione del corpo femminile e alla riproduzione dell'immaginario maschio-centrico della donna come oggetto, nel dettaglio, di piacere. Per il "bene del partito", per qualche copia venduta o qualche tessera di iscrizione in più, si inseguono le culture sessiste sul loro terreno; e davanti allo stupore di chi non ha scordato le vecchie battaglie, di chi rifiuta la mercificazione della donna o il richiamo all'immaginario sessista, ci si ripara dicendo che è tutto parodia scanzonata.

Che ciò sia il sintomo di un vuoto culturale, di un'incapacità di produrre modelli alternativi in cui veicolare i messaggi in una forma che sia al passo con i tempi, siamo tutti d'accordo: a partire, impicitamente, da chi ha ideato quelle campagne pubblicitarie anche con l'intenzione di svecchiare goffamente l'immagine di un giornale o di un partito.

Ma da quì a dire che per essere al passo con i tempi bisogna scendere al livello dell'immaginario velinista, ce ne passa. Anche perchè, anche in questo caso, i maestri in velinismo saranno sempre quelli che l'hanno inventato e praticato per decenni.



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7 commenti:

  1. Il Gender Gap index è quell’indice che misura il livello di parità tra i due sessi, dedotto dalla situazione sociale, economica, culturale e politica: l’Italia è al 72° posto, dopo il Ruanda! (gli Usa, per esempio, sono al 31°);
    detto questo, negli anni 70 i marxisti vedevano le femministe come "borghesi", perchè tendevano a separarsi da tutti gli uomini per unirsi a tutte le donne, indipendentemente dalla loro classe di appartenenza... ma forse, organizzazioni come l'UDI, non avevano tutti i torti a sganciarsi dal "partito"!

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  2. Dietro quel manifesto non c'è pensiero. Tutto ciò che mi rappresenta, guardandolo, è feticismo della merce-donna e pornografia del corpo. Altro che "classe". La cravatta di cashimire di Bertinotti era volgare, kitsch, questo manifesto è pornografia mistificata in cultura.
    Angelo
    http://www.meridiae.splinder.com/

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  3. vedi, Angelo: il feticismo di per sè, quello che nell'immaginario rimanda a piaceri sessuali, non è sfruttamento della donna..., e la pornografia è un'altra cosa (qui non sono stati usati corpi);
    nel privato, magari una è contenta di mettersi i tacchi a spillo anche per il proprio piacere, non solo per quello dell'uomo, ma qui il simbolo è sbagliato proprio perchè, secondo me, volevano rivolgersi all'elettorato femminile: sembra, appunto , una presa in giro!

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  4. Condivido in pieno l'articolo.
    Quella campagna è patetica, semplicemente vergognosa. In un momento in cui la politica dovrebbe "urlare" le vere emergenze di questo paese, la corruzione, il razzismo, lo sfascio del sistema democratico, giudiziario, scolastico, Rifondazione sceglie di "arruolare" le donne omologandosi nel linguaggio alla politica dei venditori di fumo, richiamando un'immaginario di seduzione , apparenza, illusione, piacere che va bene per una pubblicità e non per chiedere alle donne di impegnarsi attivamente nella politica. Non per chiederlo alle compagne, proletarie e non, che i soldi per comprarsi quelle scarpe oggi non ce li hanno, e che la sera hanno gli attacchi di panico, le crisi di ansia o di depressione, perchè perdono il lavoro, non vengono pagate e hanno l'affitto da pagare. questa campagna è offensiva per chi crede davvero che la politica e l'impegno in un partito abbia una funzione sociale antifascista, antisessista, antirazzista, di promozione della democrazia costituzionale.
    Su Facebook mi è stato risposto che è "ironico" e che Rifondazione ha anche manifesti più seri che richiamano i problemi reali. Benissimo !
    A conferma di quanto sopra, riforza l'idea che alle donne ci si debba rivolgere con un linguaggio frivolo e allusivo perchè tanto del precariato se ne occupano gli uomini salendo sui tetti....

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  5. «Rifondazione ha anche manifesti più seri che richiamano i problemi reali».

    Giusta osservazione, comunque. Io l'ho dato per scontato, ma non è così. Recupero ora: c'è un abisso, nell'attenzione metodica ai problemi reali, tra i veri sostenitori del velinismo e le sinistre. Ciò non toglie che sia giusto un dibattito "interno" sul messaggio che questo manifesto veicola: mi sembra riduttivo trincerarsi dietro l'ironia. Non che le intenzioni fossero sbagliate, sicuramente; ma quando si attacca qualcosa su un muro bisogna andarci coi piedi di piombo, perchè l'ironia è una forma di comunicazione complessa e sottile che si presta a mille interpratazioni diverse. E di politici simpatici amanti del tacco fetish ce ne sono già abbastanza.

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  6. Grazie Angie, della tua nota, che condivido. Nella precedente non mi volevo dilungare, né lo farò, ho troppo disgusto per ciò che accade, anche delle parole. Solo un piccolo chiarimento. Alludendo al feticismo della merce in realtà alludevo all'analisi marxiana del feticismo della merce, alla merce come feticcio ideologico. In questo caso la merce è la donna, questo a me comunica quel manifesto. La pubblicità, oggi (solo oggi?), fa il resto, trasformando in pornografia gli oggetti. Non noti che tutto passa attraverso questo gioco sottile della pornografia? Avrei voluto scrivere "erotismo", ma invece si tratta di pornografia della merce. Vogliono spacciarlo per erotismo, ma si tratta di pornografia. Forse mi devo disintossicare dalle letture della Scuola di Francoforte. Intanto la volgarità, come degenerazione della libido, avanza, e con essa l'immoralià.
    Ciao

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  7. L'analisi di Angelo per me è la migliore: Dietro quel manifesto non c'è pensiero.

    La mia sintesi è questa:
    http://www.facebook.com/photo.php?pid=30889607&id=1019228017

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