Reset - Dialogues on Civilizations propone un interessante articolo di background sulle prime elezioni post primavera araba in Tunisia da cui emergono le enormi difficoltà che il passaggio ad un regime più aperto e democratico, al di là di tutte le rappresentazioni romanticizzate, comporta (Freedom and Democracy: Tunisia votes. And the number of parties keeps growing).
Credo che - dopo aver tutti superficialmente esultato, senza nemmeno provare a conoscere la situazione da vicino, convinti dal Tg5 che tutto sarebbe andato automaticamente per il meglio - abbiamo il dovere di tributare tutta la vicinanza, il rispetto e la stima a prescindere al popolo tunisino, che sta affrontando mille difficoltà, incertezze e cambiamenti. Di fronte a questo gran magma affrontato a testa alta, la sponda nord del Mediterraneo appare veramente un luogo freddo, minuscolo e incivile.
Prima questione, la quotidianità. L'articolo non ne parla; ma questa gente ha dovuto trovare un modo per tirare avanti mentre le istituzioni si sbriciolavano. Spazzatura, acqua, scuola: cose difficilissime da far funzionare in condizioni normali, figuriamoci a ridosso di una rivoluzione. Pensiamoci.
Poi, tornando all'articolo ed alle elezioni, il numero dei partiti: saranno 105, e daranno vita (insieme ad altri movimenti ed associazioni) a un totale di oltre 1.700 liste elettorali che si contenderanno 3,8 milioni di cittadini. Come si potranno conciliare ed integrare tutti questi interessi, rimane un mistero. L'Italia è paralizzata da anni dalla bagarre fra sei partiti che ha fatto scendere il dibattito in basso, ma così in basso...
Infine, la vecchia nomenklatura. Gente che ha "dovuto" convivere con il sistema mono-partito, che è stata connivente o organica alle vecchie istituzioni, ora sparpagliata in tutti i partiti o quasi. Che farne? Come distinguerli? A chi credere? Nel dubbio, i sondaggi danno in vantaggio un partito conservatore di ispirazione islamica, che pare essere l'unico a non avere legami con il vecchio regime.
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