I giovani d'oggi non abitano più un unico bar di quartiere, quasi un prolungamento del salotto domestico, passandovi intere esistenze a ruminare e a giocare a biliardo; al contrario, i giovani d'oggi preferiscono spostarsi continuamente di locale in locale, fermandosi al massimo per pochi istanti, spesso senza nemmeno entrarvi - ma limitandosi ad incontrarsi fuori.
Secondo Ilvo Diamanti ("Quei giovani fuori dal bar", 2011; "Il bar dei giovani senza fissa dimora", 2009), ormai "sono luoghi di passaggio, i bar. Non centri di aggregazione e di socialità. Stazioni disposte lungo itinerari complessi, che raffigurano bene la complessa (ricerca di) identità dei giovani. Un'identità mobile e - necessariamente - incerta". Specchio "di una generazione itinerante, sempre in movimento, sempre in viaggio. Perché costretta - o meglio, indotta - a vivere un eterno presente. Precario. Una generazione di passaggio. Alla ricerca di un luogo dove fermarsi, finalmente. Tra un bar e l'altro".
Diamanti, specie nel pezzo del 2011, sembra rimpiangere la cultura del bar di quartiere; forse perché l'assenza di riferimenti stabili e l'imprevedibilità lasciano spiazzati i (vecchi) sociologi, forse - più semplicemente - perché la cultura dei bar è solo una scusa per riportare il discorso sulla precarietà lavorativa ed esistenziale di cui oggi siamo tutti vittime. A mio parere, tuttavia, non c'è nulla da rimpiangere nei vecchi bar di quartiere e nei "bar sport" in piazza in cui si rinchiudevano i nostri padri e i nostri nonni; perché quelli erano - a confronto delle strade dell'oggi - luoghi senza stimoli, con sempre le stesse facce e gli stessi pettegolezzi, in cui rinchiudersi e raggomitolarsi su sè stessi quasi a rifiutare il mondo.
La mobilità della movida di oggi è al contrario una metafora dell'effervescenza, della spontaneità e della ricchezza di stimoli che caratterizza il presente; e come tale, nello specifico, c'è ben poco per cui stracciarsi le vesti.
Nessun commento:
Posta un commento