Connotare il racconto di una storia attraverso l'uso di metafore, influenza il modo in cui l'ascoltatore interpreta i fatti.
Un'ennesima conferma sperimentale arriva da uno studio di psicologia sociale, i cui risultati (in originale sulla rivista online open source Plos One) sono riportati dal Corriere della Sera. A quasi 500 studenti è stato sottoposto un articolo in cui si ricostruiva, dati alla mano, un consistente aumento del crimine in una città di fantasia; unica differenza, il fatto che nell'articolo letto da metà dei soggetti il crimine veniva definito "bestia" mentre nell'articolo letto dall'altra metà "virus". Gli studenti che hanno letto l'articolo in cui il crimine veniva definito "bestia", si sono rivelati nel complesso maggiormente propensi a sostenere misure di tipo repressivo (71%), mentre gli altri studenti (sottoposti alla versione "virus") hanno mostrato una minore propensione alle misure forti (54%) ed una maggiore propensione alle misure rieducative. Infatti, "se evoco la parola "bestia" creo un ambiente che è quello della foresta, selvaggio, dove uccidere è normale. Mentre invece se mi muovo nell’ambito "virus", evoco un ambiente medico, cioè curativo, e quindi la bestiolina non è da uccidere ma si può recuperare" ha commentato Marco Villamira, docente di psicologia della comunicazione. Inutile dire che sia gli studenti della versione bestia che gli studenti della versione virus hanno affermato di essersi basati unicamente sui dati citati (identici).
L'articolo non scopre nulla di nuovo, ma è significativo per due motivi collaterali. Primo: l'articolo è collocato dal Corriere della Sera nella sezione "Salute", a mostrare come le scienze sociali non abbiano alcuno spazio nel giornalismo contemporaneo (la sezione "Cultura e Società", dove presente, non è altro che una discarica di gossip, pubblicità occulte di prodotti e curiosità prive di sostanza). Secondo, il titolo stesso ("Il potere di persuasione (occulto) della metafora") che viene dato all'articolo è a sua volta manipolatorio, perché contribuisce a connotare il fenomeno in maniera negativa, fosca; come se vi fosse un grande burattinaio, da qualche parte, ad organizzare il mondo a suo piacere trattandoci come stupidi pupazzi. Le cose sono un pò più complicate; in ogni caso anche il paradossale potere manipolatorio della titolazione di un articolo in cui si stigmatizzano le manipolazioni non è per nulla strano: ogni forma di comunicazione è manipolatoria.
Consiglio per la lettura: Guido GILI, Il Problema della Manipolazione: Peccato originale dei Media?, Franco Angeli, 2001.
Nessun commento:
Posta un commento