lunedì 11 ottobre 2010

Se il disagio mentale è una schiavitù genetica

Cosa implica il sostenere che una malattia psicologica, un deficit o un atteggiamento deviante, ha cause genetiche? Sostenere che una tale persona si comporta in un tal modo a causa di qualche predisposizione genetica migliora la sua condizione ed il modo in cui la società lo tratta, o non fa che accrescere lo stigma?

Il Guardian ha affrontato il tema con un articolo agile che però propone diversi spunti di riflessione. Il problema, d'altra parte, è rilevante: sempre più atteggiamenti (dall'ADHD alla propensione al fumo, dall'infedeltà all'omosessualità) vengono infatti imputati a cause genetiche. Secondo i sostenitori di questa visione, spesso inconsistente e frutto di scientismo e meccanicismo superficiale (certa "genetica", più che alla scienza, rimanda alla fisiognomica e alla frenologia) ma molto popolare (anche tra gli stessi malati), sostenere che un atteggiamento ha cause genetiche migliorerebbe l'atteggiamento nei confronti del malato non più incolpabile per ciò che è e quindi, necessariamente, da accettare e rispettare. "Poverino, è nato così, non è colpa sua". Questa convinzione è, tuttavia, assolutamente errata.
 
Per cominciare sostenere che un soggetto è iperattivo o omosessuale per cause genetiche  rafforza l'idea che vi sia qualcosa di patologico, di sbagliato, di deviato rispetto alla norma: l'iperattività e l'omosessualità cessano di essere atteggiamenti e tratti del carattere più o meno scelti, non etichettabili come malattie (se non partendo da una visione ideologica), per trasformarsi in vere e proprie disfunzioni oggettive. Quello che un giudizio di valore relativo viene trasformato in un dato oggettivo alludendo ad una mancanza o a un'imperfezione costitutiva: "sei così perchè sei fatto male".

In secondo luogo sostenere che un soggetto è (per cambiare gli esempi) fumatore o tendente al suicidio per cause genetiche non fa che allontanare, se non azzerare, le possibilità di guarigione e di soluzione del problema: l'essere fumatore o il tendere al suicidio diventa anche agli occhi dello stesso paziente una seconda natura della quale non ci si libererà mai. Trattato dagli altri come un "malato", questa persona si rialzerà più difficilmente ed avrà sempre l'impressione di potervi ricadere: il soggetto che pure vorrebbe in parte cambiare vedrà nella genetica una scusa per de-responsabilizzarsi e non verrà più sostenuto nel processo di "guarigione", bensì semplicemente parcheggiato tra le cose ormai inutilizzabili.

Terzo punto, sostenere che gli atteggiamenti hanno spesso un sottostrato genetico getta continui dubbi sul soggetto che ha questa "disfunzione" genetica. Può farlo di nuovo? Avrà qualche altra "tara"? Come fidarsi di una persona geneticamente iperattiva o tendente al suicidio? "Tu che hai detto di avere avuto tendenze suicide: non erano mica tendenze suicide a sfondo genetico? Se è così dimmelo prima che evitiamo di creare una famiglia". Con un corollario: non è che questa disfunzione, visto che genetica, verrà trasferita alla prole?

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