lunedì 7 febbraio 2011

I musei non sono macchine per far soldi

Vittorio Emiliani, sull'Unità (ripresa da Eddyburg) risponde al mito secondo il quale la cultura si deve finanziare da sola, perché "così fanno già le maggiori istituzioni culturali del mondo", mostrando come - dati alla mano - anche le maggiori istituzioni culturali del mondo siano abbondantemente sovvenzionate dallo stato (per non parlare delle istituzioni minori). Perfino il Louvre, macchina da soldi con tanto di McDonald's all'interno, è in grado di autofinanziarsi solo per poco più di un terzo.

Certo: il mondo della cultura sovvenzionata dallo stato non svetta certo per efficienza e razionalità economica. Allo stesso tempo, le migliaia di musei minori e di raccolte di chincaglierie nate su spinta dei notabilati di provincia contribuiscono effettivamente a drenare risorse preziose (contribuendo però al sostentamento di quei dotti di cui l'Italia ha e avrà bisogno). Possiamo anche accogliere in parte la famosa provocazione di Baricco, ammettendo che è almeno discutibile destinare ingenti risorse a quella cultura puramente elitaria, quale l'Opera, che esiste oggi soprattutto per intrattenere le classi già abbienti a spese dei contribuenti, quando una quota crescente della popolazione langue (beatamente) nell'analfabetismo.

L'idea di trasformare i musei in macchine per far soldi, però, non solo è irrealizzabile: è contro la natura stessa di cultura.

Cultura è tutela della differenza, della diversità, di ciò che non è mainstream: è conservazione faticosa di ciò che non è popolare ma che è (e che sarà) interessante, particolare, arricchente, anche in virtù della sua  capacità di andare oltre il comune. In altre parole: Cultura è proprio ciò che non si riesce a finanziare direttamente da solo.

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