"Cosa c'è di più importante per una comunità del riconoscersi insieme in una epopea?" si chiede Gian Antonio Stella? Migliaia di cose, mi viene da rispondere d'impulso. Basta guardare nel catalogo delle comunità che nella storia si sono riconosciute insieme in un'epopea: chi più di Germania nazista, Europa colonialista, Occidente crociato o Unione Sovietica stalinista, rendono con forza l'idea di comunità che si riconosce in un'epopea? Anna Arendt non ha scritto solo La banalità del male, dopo tutto.
Per prima cosa, dovremmo chiederci quale è il senso di un'epopea condivisa, quali sono i valori su cui si fonda, chi sono i protagonisti; il valore di un movimento sta semmai in questi elementi, e non nel fatto che migliaia (o milioni) di automi si muovano insieme magari sull'onda di una qualsiasi pericolosa filosofia assoluta della storia. Poi ci dobbiamo chiedere: dove ci porterà davvero quest'epopea? E a quale costo? Per arrivare alla domanda centrale: c'è spazio per la diversità, per l'individuo, per l'anticonformista, per l'outsider, per il non cittadino, in questa comunità e in questa epopea, in questa valanga che assorbe tutto ciò che incontra in una melma coesa qualsiasi? Normalmente la risposta è no.
Certe retoriche (Dio, Patria e Famiglia) sarebbe bello poterle lasciare alla destra reazionaria e populista.
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