sabato 22 maggio 2010

Oltre l'ideologia della vita sempre e comunque?

Ci è stato insegnato che tutte le vite hanno un senso, e che la vita va tutelata sopra ogni cosa sempre e comunque.

A prescindere dalla definizione di ciò che è ancora vita (vedi Eluana Englaro, funerali per feti e simili derive grottesche), ogni affermazione che viola questo principio è in effetti estremamente pericolosa. Primo, perchè nel momento in cui i forti decidono che le vite dei deboli non hanno senso, i deboli rischiano di fare una brutta fine. Secondo, perchè quello di dare a persone il difficoltà il peso ulteriore della certezza di essere vissuti dagli altri come un senza senso, è un atto di crudeltà che non si può tollerare.

Eppure, si fa fatica a non ritrovare qualcosa di giusto nel bel pezzo provocatorio di Massimo Fini di oggi "Una vita basta (e avanza)". La retorica del dovere attaccarsi alla vita contro ogni evidenza senza chiedersi il perchè, del rubare alla morte ogni secondo a qualsiasi prezzo, dell'accanimento terapeutico, in effetti, suona spesso abbastanza ideologica.

ppure, forse, ne abbiamo bisogno. Perchè quei vecchi ben descritti da Fini, sperduti, inutili, inefficienti ed impauriti, e con loro tutti i "deboli" dal punto di vista del pensiero dominante, non meritano comunque che qualcuno si erga ad arbitro del loro stile di vita.

Ciascuno ha il diritto di farsi arbitro della propria vita, ed ha il diritto a non essere additato come colpevole, come peso, come fallito, come nulla.

Massimo Fini, tuttavia, ha un pò ragione. E se da un lato non abbiamo il diritto nemmeno di immaginarci di giudicare l'altro, forse è il caso di provare a far diventare la morte solo una fase banale e liberatoria di una vita vissuta come si deve.

1 commento:

  1. Ciao, Andrea. Non so se ti faccia piacere che qualcuno scriva in questo blog, ma ho visto la possibilità di "postare" e ho pensato che non ti dispiacesse. Volevo solo dirti che sono in parte d'accordo con te. Non su tutto, d'altro canto come fanno due esseri viventi ad essere d'accordo "su tutto"? Sai, io non credo che la morte possa essere una "fase banale" della vita. Liberatoria, sì, credo che qualche volta possa esserlo, ma banale no, mai, credo proprio non possa esserlo. Mette fine alla vita, quindi ha un significato forte. Tuttavia, pur nella sua importanza e drammaticità, deve restare nel diritto totale ed esclusivo dell'individuo. Hai ragione nel dire che nessuno deve ergersi ad arbitro della vita altrui, beh, forse dobbiamo cominciare a pensare anche che nessuno possa o debba ergersi ad arbitro della morte altrui. Giudice e arbitro solo della propria morte, nonostante la difficoltà e drammaticità. Senza che nessuno possa interferire. Ciao, Andrea. Ho scoperto da poco il tuo blog, ma lo leggo con piacere. Pasqualina Bonifacio (P.S. Continuo a non capire come si urilizza il box "commenta come"). Ancora ciao. Spero di non essere stata inopportuna.

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