Con un interessante tempismo, il presidente della Cei Angelo Bagnasco ha annunciato l'intenzione di voto della Chiesa in quanto istituzione, concentrando tutta l'attenzione su un tema sensibile quale quello dell'aborto. «Il voto sia contro l'aborto», ha detto Bagnasco e hanno rilanciato i media. E tutto il resto?
Possiamo capire che il tema dell'aborto sia per la chiesa uno tra i valori «non negoziabili», come ha detto Bagnasco. Ma possiamo davvero credere che la Conferenza Episcopale Italiana sia così miope da concedere il proprio supporto a qualsiasi candidato, purchè abbia una posizione retoricamente anti-abortista? E' etico, cristiano, civile tutto ciò? Cosa resta della politica e dell'amministrazione di fronte a un'affermazione del genere che riduce un voto amministrativo, una procedura democratica attraverso la quale i cittadini devono decidere a chi affidare l'organizzazione concreta e quotidiana di sanità, viabilità, scuole, ambiente, stato sociale, a un plebiscito su un tema che con l'amministrazione regionale non ha nulla a che fare?
Tutto ciò mi fa tornare alla mente i discorsi della Arendt sull'incapacità del cristiano, "tutto votato alla vita eterna", di partecipare in maniera convinta all'arena politica mondana. E mi fa tornare in mente i discorsi di Bauman, per il quale il fondamentalismo religioso non è che una soluzione "efficace" di fronte alla vertigine dell'obbligo della scelta in un ambiente complesso e mutevole. Sicuramente è molto comodo, di fronte alla complessità dell'arena politica e delle istanze contemporanee, trincerarsi dietro a un unico principio. A sapersi vendere bene, si può anche riuscire a passare per "nobili di spirito".
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Che poi, a voler vedere, la "colpa" non è forse nemmeno tutta della Cei. Basta leggere i primi paragrafi dell'articolo del Corriere, per esempio, per leggere che tra i «valori non negoziabili» Bagnasco ha elencato anche «la dignità della persona umana, incomprimibile rispetto a qualsiasi condizionamento; l'indisponibilità della vita, dal concepimento fino alla morte naturale; la libertà religiosa e la libertà educativa e scolastica; la famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna», facendo derivare da questi valori anche «altri indispensabili valori come il diritto al lavoro e alla casa; la libertà di impresa finalizzata al bene comune; l'accoglienza verso gli immigrati, rispettosa delle leggi e volta a favorire l'integrazione; il rispetto del creato; la libertà dalla malavita, in particolare quella organizzata».
Perchè tutta l'attenzione dei media e della Cei stessa è caduta tutta sul tema dell'aborto, e su quel primo livello "astratto" e genuinamente corporativo (diritto alla vita, o meglio monopolio della chiesa sulle fasi liminari della nascita e della morte, educazione cattolica, famiglia "tradizionale") e non sul secondo livello più "sociale e politico" (lavoro, casa, bene comune, integrazione, ambiente, anti-mafia), che si fa discendere naturalmente dal primo (a livello logico può anche essere così, ma nel panorama politico nostrano il passaggio non funziona) tra l'altro sicuramente più vicino ai temi delle elezioni regionali?
Forse perchè il primo livello, aborto e scuola cattolica, è "non negoziabile", mentre il secondo, case, lavoro, integrazione e ambiente, lo è?
Poco importa: alle urne, centinaia di migliaia di italiani indecisi sceglieranno di aggrapparsi all'opinione della chiesa e a quei temi "etici", trascendenti, "assoluti", dietro la cui nobiltà (apparente) nasconderanno la loro incompetenza, la loro sudditanza, la loro incapacità a produrre una posizione completa e coerente. Perchè vuoi mettere a interpretare le sfumature, ad applicare una griglia di valori cristiani ai candidati, a valutare pro e contro, a immaginare quale cultura amministrativa possa essere nel complesso più "cristiana", quanta fatica?
Avanti, crociati: tutti alle urne. Con due belle fette di feto sugli occhi, si fa sicuramente meno fatica.
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