Secondo uno studio citato dal New Internationalist (http://newint.org/blog/2015/03/06/cook-stoves-asia/) le donne che utilizzano per cucinare utilizzano stufe tradizionali a legna impiegano in media 35 ore alla settimana per cucinare e procurarsi la legna. Tra l'altro, il fumo generato da queste stufe causa numerosi problemi di salute. Sarebbe sufficiente dotarle di stufe più avanzate, o addirittura di elettrodomestici, per liberare ed emancipare ore ed ore di tempo. Sgravando, oltre alle madri di famiglia, tutte quelle figlie chiamate prematuramente a rimanere ad aiutare in casa.
Certo, anche la modernizzazione avrebbe i suoi rovesci. Questo tempo dovrebbe essere liberato per che cosa, semplicemente per sradicare e immettere milioni di individui nel circuito della produzione? E se tutte le case di questo mondo, se tutti i forni elettrici e le lavatrici e i condizionatori del mondo si unissero, che ne sarebbe delle risorse del nostro pianeta?
Ma in molte società rurali il problema non si pone, almeno non per ora, perché l'acquisto di questo genere di bene spetta abitualmente ai mariti, restii a investire in questo genere di innovazioni. E poi c'è la cultura, le tradizioni, le aspettative di genere e di ruolo. Aspettative nemmeno troppo esotiche: si pensi al mito della casalinga e della donna di casa, che nasce o almeno si sviluppa in Europa proprio in concomitanza con il boom degli elettrodomestici e della meccanizzazione e con la società piccolo borghese (perché le donne del popolo, in fondo, hanno sempre dovuto lavorare doppio: in casa, e pure fuori). Che dovranno mai fare, queste donne, fuori?
Fatto sta che milioni di donne rimangono così confinate, la loro energia intrappolata, l'orizzonte ristretto alle immediate vicinanze del focolare. Ad anni luce dalle battaglie per l'autodeterminazione.
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