Ilvo Diamanti, sulla Repubblica, affronta il tema dei trenta e quarantenni che continuano a vivere a casa (o nell'orbita della casa) dei genitori da un punto di vista differente (Se i figli trentenni se ne andassero di casa). Invece di "incolpare" i giovani (mammoni, bamboccioni e quant'altro) o ancora i meccanismi sociali (mercato del lavoro, welfare tutto orientato alla tutela degli adulti e degli anziani), infatti, Diamanti riflette infatti sulle ragioni che spingono i genitori a fare il possibile per trattenere i figli a casa, continuando in questo modo a sentirsi, loro per primi, utili e giovani.
Forse, chi diventa genitore non dovrebbe dimenticare di essere prima di tutto anche una persona (evitando di lasciarsi monopolizzare e inghiottire da quello che, di fatto, è "semplicemente" un ruolo).
Scrive Diamanti:
In Italia il sostegno pubblico è tutto a favore delle generazioni più anziane. E l'istituzione che si accolla i costi della formazione e dell'apprendistato biografico delle generazioni più giovani è, soprattutto, la famiglia. I genitori, che affrontano l'assistenza dei "nonni", con il ricorso alle badanti. E offrono asilo (è il caso di dirlo) ai figli, sempre più a lungo. Anche quando mettono su famiglia e fanno a loro volta figli. E vanno ad abitare al piano di sotto o nell'appartamento di fronte. Così da poter affidare i figli ai nonni. Per questo nel caso del quarantunenne allontanato di casa dai genitori non stupisce tanto la "resistenza" del figlio-adulto, ma, semmai, la ribellione dei genitori. In questa società senza più confini generazionali, dove il passaggio tra giovinezza - età adulta e anziana - vecchiaia avviene in modo fluido e in-definito, i genitori raramente si ribellano. Non tanto perché è difficile - i figli sono sempre figli. Ma perché ai genitori, in fondo, non conviene spezzare il legame con i figli. Anche se li mantengono a lungo, la casa è un porto e un posto di passaggio, senza orari e senza programmi. Però, non sono solo i figli ad aver bisogno dei genitori. È vero anche il contrario. Se i figli unici se ne andassero davvero. A trent'anni e anche prima. Se "abbandonassero" i genitori. I genitori che farebbero? Perderebbero il "controllo" sui figli e sulla loro biografia. Si ritroverebbero soli - o peggio: insieme ai nonni, poco autosufficienti. Per questo il caso del quarantunenne di Mestre ha suscitato tanto interesse, ma anche tanta preoccupazione. Tra i gli adulti. Cosa succederebbe se il contagio si propagasse? Se molti altri "giovani" trentenni se ne andassero? Non per costrizione, ma per attrazione. Sedotti dal richiamo del Pifferaio di Hamelin, che li guida verso la Terra dell'Autonomia e dell'Indipendenza. Senza di loro, i genitori si scoprirebbero soli. E vecchi. All'improvviso. Senza più alibi. Aggrediti dalla noia e dalla tristezza.Forse sarebbe il caso di relativizzare il comandamento IV. Chiaramente, per il bene loro.
Assolutamente d'accordo; lo considero un fattore ben più importante delle difficoltà materiali nel generare il problema.
RispondiEliminaio non tanto d'accordo: i genitori anziani non sono tutti accuditi da badanti (agevolate comunque da un governo che taglia l'assistenza sociale - sono alte le rette dei cosiddetti ospizi); sarebbe comunque un controsenso dire che i figli devono essere emancipati (anche se non hanno un lavoro) dai loro genitori i quali, se un lavoro ancora ce l'hanno, devono a loro volta accudire i più anziani;
RispondiEliminac'è anche da tener presente che molti figli tornano alla famiglia d'origine perché separati da un coniuge che resta nella casa, se ci sono dei minori nati dal matrimonio;
personalmente posso assicurare (che ho un figlio quasi trent'enne, che ha una fidanzata che ancora studia - nella stessa città e quindi non ha bisogno di trasferirsi come tanti - e con la quale non può permettersi di prendere casa) che io mi assento spesso proprio per darci modo di stare soli, occuparci ognuno dei propri affari, e non entrare in conflitto con un modo di vivere che non può essere che diverso!
So che in alcune regioni si stanno ri-sperimentando le "comuni", ma non più dei giovani singoli bensì di giovani famiglie.