mercoledì 4 maggio 2011

La folla metropolitana? Un rifiguio in cui rimanere (finalmente) soli

Melissa Febos, sul New York Times (Look at Me, I'm Crying), rovescia quasi due secoli di demonizzazione della metropoli (e di retorica comunitarista) con un bel pezzo, paradossale ma anche illuminante, in cui lo spazio pubblico (ma anonimo) della metropoli viene trasformato da paradigma della solitudine del cittadino contemporaneo in ultimo rifugio in cui rimanere - per un po' - soli con sè stessi.

E' vero: le strade affollate, le metropolitane, i nonluoghi e i viali anonimi e deserti della grandi città sono luoghi di indifferenza, di solitudine, di disumanizzazione, di assenza di relazioni. Ma in un'esistenza fatta di spazi stretti, di pettegolezzi, di continui giudizi, di social network e di geolocalizzazioni, di maschere e di finzioni, in cui il concetto di Privacy sembra essere diventato ormai obsoleto (Zuckenberg dixit), il bisogno di rimanere soli con sè stessi (che nulla ha a che vedere con il senso di solitudine più profondo e sostanziale) non riesce ormai più a trovare spazio se non in questi luoghi.

Tutto ciò è chiaramente paradossale; ma è innegabile che per trovare un po' di privacy, per lasciarsi andare, per pensare o per non pensare a nulla, è necessario rifugiarsi in quell'anonimato che solo le grandi folle e gli spazi pubblici possono garantire.

1 commento:

  1. E' vero, sono d'accordo con quanto scrivi.
    A me capita spesso.
    Ma questo accade perchè non riusciamo più, o riusciamo a fatica, a ritagliarci del tempo da dedicare alla solitudine e al silenzio e a sè stessi, con la scusa della mancanza di tempo o, più probabilmente, per paura

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