giovedì 30 giugno 2011

Turisti alle favelas: voyeurismo o turismo responsabile?

Valeria Mazza, sul Corriere, dedica una lunga riflessione ragionata al cosiddetto "poorism", traducibile come "turismo della povertà", cioè alla tendenza - diffusa fra i viaggiatori indipendenti ma sempre più spesso anche tra i viaggiatori organizzati - a includere negli itinerari di viaggio - oltre alle destinazioni tipicamente turistiche - anche la visita più o meno improvvisata a ghetti, a slums, a favelas o in generale a zone degradate e "off the beaten tracks", nel desiderio - almeno stando alle razionalizzazioni di partecipanti e promotori - di "toccare con mano" le condizioni di vita delle persone comuni o addirittura di testimoniare vicinanza, interesse, magari di dare una mano (Sono un turista. Visito o no la favela?).

Il "poorism" è, indubbiamente, una pratica sospesa tra il voyerismo e il "turismo responsabile". Da una parte è innegabile che alla base di questo atteggiamento - che personalmente pratico da anni - vi sia una forte componente di curiosità e di ricerca (integralmente egoistica) del proprio limite, della particolarità, dell'avventura, dell'eclatante, di quei luoghi misteriosi e spaventevoli che fanno parte dell'immaginario globale per poter dire - soltanto a noi stessi o agli altri, che rimarranno a bocca aperta- di esserci stati. Dall'altra parte, però, c'è spesso forte anche il desiderio di conoscere, di non distogliere lo sguardo, di capire, di esperire - seppur solo per una breve finestra della propria parabola - per lasciarsi "contaminare". Per non parlare del desiderio di testimoniare - per quanto possa essere assurdo - una propria vicinanza e forse - altra assurdità - anche della presunzione di poter addirittura essere d'aiuto (e quì s'innesta quel business un po' radical chic ma fiorente e meritorio del turismo sostenibile) - per quanto, a pensarci meglio, tutto ciò può apparire una semplice giustificazione, una fuga da sensi di colpa (cosmici) un po' grottesca

Personalmente, credo che nel poorism (almeno in quello budget e improvvisato del "viaggiatore indipendente") convivano entrambi gli aspetti, e credo che questo non sia un male

Non c'è nulla di male a frequentare un treno di terza classe per pura curiosità, per sfida, per interagire - anche silenziosamente e "futilmente" - con l'altro allo scopo di arricchire sé stessi (e magari, incidentalmente, anche l'altro) - a patto, ovviamente, che lo si faccia con tatto, laicamente (non stiamo salvando il mondo, non stiamo comprendendo a fondo niente), con un minimo di coerenza e soprattutto con la massima e più rispettosa discrezione.

mercoledì 29 giugno 2011

Perché i "giovanilisti" non piacciono ai giovani

Il Corriere della Sera, nella Rubrica "Salute" (sic!), riferisce i risultati di una ricerca secondo la quale i "giovanilisti" non piacciono ai giovani

In particolare, i "giovani" esprimerebbero giudizi particolarmente negativi e taglienti sugli over 30 che tentano di camuffare la loro età, un po' meno taglienti sui quarantenni e via via decrescendo al crescere dell'età del soggetto.

La spiegazione offerta dagli psicologi che hanno condotto lo studio è, a mio parere, molto molto discutibile: i "veri" giovani vedrebbero nei "finti giovani" dei "veri e propri impostori che tentano proditoriamente di abbandonare il loro naturale gruppo di appartenenza per infiltrarsi in quello dei giovani", magari alla ricerca di avventure romantiche.

Secondo me, centrano molto di più le cosiddette "prescrizioni di ruolo" connesse all'età: da un quarantenne ci si aspetta un certo comportamento sociale, ed il quarantenne che contravviene a queste prescrizioni viene visto come fuori posto, come incapace e come patetico perché non sa vivere in maniera consona alla cosiddetta "normalità" cioè al "quarantenne medio" (che è una costruzione sociale ovviamente in movimento). Il giudizio diventa poi meno severo man mano che si sale verso gli "scemi di villaggio", nei confronti dei quali l'astio si trasforma in tenera accondiscendenza (anche nella loro rappresentazione mediale: Maria de Filippi ha da tempo accolto diversi di questi freaks nella sua scuderia).

martedì 28 giugno 2011

Elogio del paradosso

Le dichiarazioni di Umberto Veronesi ("quello omosessuale è l'amore più puro, perché - al contrario dell'eterosessuale - non è finalizzato alla procreazione")  sono una grande lezione di paradosso. 

Il paradosso è l'arte di rovesciare il seriosissimo "pensiero comune", utilizzandone lo stesso armamentario teorico (il tema della "purezza"), per sostenere in punta di logica il contrario di quello che l'interlocutore ha sempre pensato - ed instillare così smarrimento, rabbia e dubbio. Non stupisce il fatto che persino Giovanardi, che ha sempre la parola pronta, non abbia saputo fare di meglio di bollare le dichiarazioni di Veronesi come "delirio estivo". 

Complimenti Veronesi, non c'è che da prendere appunti.

lunedì 27 giugno 2011

Bufale libiche. Il potere sconfinato della propaganda nella società dell'informazione

Maurizio Matteuzzi, sul Manifesto (ripreso da Nena News - Libia: la "bufala" degli stupri di massa), decostruisce - report di Amnesty International, Human Rights Watch e Onu alla mano - diversi miti creati dalla propaganda anti-Gheddafi: il viagra distribuito ai soldati, la politica degli stupri sistematici, e l'utilizzo di mercenari africani (secondo l'inviato Onu "figure «mitiche», «lavoratori o gente che cercava lavoro», divenuti capri espiatori per indirizzare la rabbia della popolazione contro i migranti «in un contesto di forti sentimenti razzisti e xenofobi»").

Nella società dell'informazione e nell'epoca della "trasparenza" garantita dal villaggio globale, dell'informazione dal basso, del citizen journalism, dei videofonini e dell'intelligence high tech, la propaganda e la disinformazione sono ancora più importanti, pervasive ed efficaci che in passato

L'aumentare delle possibilità di comunicare e (teoricamente) di verificare ci rende più creduloni che mai ("le informazioni che ci giungono devono essere per forza vere"); e la certezza di conoscere la verità ci porta a sostenere con un entusiasmo mai visto le cause che hanno avuto la fortuna e la capacità di fare breccia nella pubblica opinione.

Un bel progresso, non c'è che dire.

venerdì 24 giugno 2011

Festival della Filosofia: I video in streaming

In vista della prossima edizione (a Settembre a Modena, Carpi e Sassuolo), il Festival della Filosofia sta riproponendo sul proprio sito internet i video degli interventi dei relatori della scorsa edizione. I video, proposti a rotazione in streaming, saranno ogni volta 6 (per ora Remo Bodei, Marc Augé, Jean-Luc Nancy, Angelo Panebianco, Carlo Galli, Maurizio Ferraris): ogni due settimane i 6 video verranno sostituiti con 6 video diversi.

giovedì 23 giugno 2011

Città e decrescita [Serge Latouche]

Carta ripropone l'intervento di Serge Latouche (Città e decrescita) al meeting dell'Unione internazionale degli architetti di Roma, che propone la "città decrescente" e cioè la città che nell'utopia di Latouche risolverà "la crisi urbana e sociale attuale" risultato dell'attuale crisi di civiltà - che non sarebbe altro che il fallimento della società della crescita. Intervento che lo stesso Latouche riassume così:
La città decrescente sarà città con una impronta ecologica ridotta, trattenendo un rapporto forte con l’ecosistema [una bio-regione]. In un primo tempo, la città decrescente, potrebbe essere la cità attuale dalla quale sarebbero stati eliminati la pubblicità, le auto e la grande distribuzione e dove sarebberò stati introdotti i giardini condivisi, le piste ciclabili, una gestione publica dei beni comuni [acqua, servizi di base] e anche la coabitazione e le «botteghe di quartiere». Una riconversione sarà necessaria ma anche una certa diindustrializzazione. In sintesi, la città decrescente, primo passo verso una società di abbondanza frugale, preserverà l’ambiente che è in ultima analisi la base di tutta la vita, aprirà a ciascuno un accesso più democratico all’economia, ridurrà la disoccupazione, rafforzerà la partecipazione [e dunque l’integrazione] e anche la solidarietà, fortificherà la salute dei cittadini grazie alla crescita della sobrietà e alla diminuzione dello stress.
Niente paura: nel corso del breve saggio, tutti questi elementi - che qui sembrano essere accatastati in maniera farneticante - troveranno la loro ratio e la loro collocazione... buona lettura.

mercoledì 22 giugno 2011

Festival dell'Antropologia Contemporanea: i Video degli interventi disponibili in streaming

L'ultimo week end di maggio Pistoia ha ospitato "Dialoghi sull'uomo", il festival dell'antropologia contemporanea nato nel 2010. Da qualche giorno, sono disponibili gratuitamente sul sito della manifestazione i video (in streaming) di tutti gli interventi dei relatori (Umberto Galimberti, Marc Augé, Marco Aime, David Le Breton, Franco La Cecla, Vito Mancuso, Carlo Petrini) sul tema del corpo. Buona visione!

martedì 21 giugno 2011

Antropologia del conformista che fugge dalla libertà [Gustavo Zagrebelsky]

MicroMega ripropone un illuminante intervento di Gustavo Zagrebelsky - per la Repubblica - sul tema della fuga della libertà (Antropologia del conformista che fugge dalla libertà). In questo piccolo capolavoro Zagrebelsky descrive i tipi umani che derivano da diverse variazioni della medesima propensione alla servitù volontaria: il conformista, l'opportunista, il gretto e il timoroso. Finendo per spiegare, in poche righe, le forze fondamentali alla base, seppur con diversi gradi di intensità, del comportamento pubblico di tutti noi*, prima di approdare a questa conclusione propositiva:
Conformismo, opportunismo, grettezza e debolezza: ecco dunque, della libertà, i nemici che l'insidiano “liberamente”, dall'interno del carattere degli esseri umani. Il conformista la sacrifica all'apparenza; l'opportunista, alla carriera; il gretto, all'egoismo; il debole, alla sicurezza. La libertà, oggi, più che dal controllo dei corpi e delle azioni, è insidiata da queste ragioni d'omologazione delle anime. Potrebbe perfino sospettarsi che la lunga guerra contro le arbitrarie costrizioni esterne, condotte per mezzo delle costituzioni e dei diritti umani, sia stata alla fine funzionale non alla libertà, ma alla libertà di cedere liberamente la nostra libertà. La libertà ha bisogno che ci liberiamo dei nemici che portiamo dentro di noi. Il conformismo, si combatte con l'amore per la diversità; l'opportunismo, con la legalità e l'uguaglianza; la grettezza, con la cultura; la debolezza, con la sobrietà. Diversità, legalità e uguaglianza, cultura e sobrietà: ecco il necessario nutrimento della libertà.
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(*) Zagrebelsky preferisce innalzare sé stesso e l'intero uditorio al di sopra della marmaglia (i conformisti sono sempre gli altri) affermando nel primo paragrafo di mirare a descrivere "i tipi umani quali noi siamo". Tutto d'altra parte comprensibilissimo, tenendo conto del fatto che l'obiettivo implicito dell'articolo è quello - politico - di propugnare la visione della contrapposizione manichea e antropologica fra berlusconiano e anti-berlusconiano. Io, al contrario, credo che certe dinamiche siano molto più trasversali.

lunedì 20 giugno 2011

Solitudine, sostenibilità e società dei consumi [Zygmunt Bauman @ Festival dell'Economia di Trento]

I ritmi di lavoro ed il "logorio della vita moderna" indeboliscono le nostre relazioni, rendendoci soli, e questa solitudine ci spinge a compensare questo crescente senso di vuoto attraverso il consumo di merci - che però distrugge il pianeta e non crea mai una serenità duratura. Unimondo riporta il discorso del sociologo Zygmunt Bauman al festival dell'economia di Trento (Zygmunt Bauman e la moralità trasformata in merce): nulla di nuovo, ma sicuramente un buon modo per avvicinarsi o per ripassare le posizioni - non sempre condivisibili ma molto influenti - di quello che continua ad essere uno dei pensatori più citati e venduti del mondo.

giovedì 16 giugno 2011

iCloud: nuove frontiere del concetto di "proprietà privata"

Rinunciare al completo controllo di ciò che si possiede, si crea, si acquista, cedendolo materialmente a qualcun altro in cambio del semplice diritto a poterne usufruire a piacimento. Carlo Formenti su Micromega riflette su iCloud (iCloud, felici e espropriati), l'ultima invenzione targata Apple.

Grazie ad iCloud la musica, i film e i testi acquistati o creati dagli utenti non saranno più conservati nel loro hard disk personale bensì in enormi server proprietà del fornitore. Che ne è della vecchia concezione di "possesso"? E perché permettere che questa gran mole di dati profumatamente pagati (e magari riservati) venga accentrata fisicamente in un unico luogo fisico - per di più nelle mani di ignoti? Ormai assuefatti all'immateriale, siamo ancora in grado di tutelare la nostra proprietà (collettiva e privata)?

lunedì 13 giugno 2011

Bhutan. Ultima Shangri-La, dittatura reazionaria o "theme-park" per turisti facoltosi?

Il blog Bridge to Bhutan regala una splendida "Introduzione al Bhutan", vero e proprio simbolo estremizzato di tante istanze che caratterizzano l'immaginario del "turismo sostenibile" che rifugge l'omologazione in una ricerca di presunti paradisi incontaminati e folkloristici.  

Di certo il Bhutan rappresenta prima di tutto, agli occhi di viaggiatori e attivisti occidentali, un "luogo dello spirito": un ricettacolo ed uno sfondo su cui si riflettono desideri, allucinazioni e sogni connessi all'altrove. Allo stesso tempo, leggendo la lunga serie di divieti, di proibizioni, di privazioni, di vincoli, rimane il dubbio che in fondo, al di là della retorica, ci troviamo di fronte ad una sorta di dittatura reazionaria - niente di così diverso dalla tanto bistrattata Corea del Nord.
Bhutan. This little-known Himalayan kingdom is the world’s last remaining Shangri-La.  This is an extraordinary country, unlike any on Earth, where traffic lights do not exist, buying cigarettes is illegal, the wrestling channel and MTV are banned, as well as Western-style billboards and plastic bags. [...] Up until 1960, Bhutan had been visited by only a handful of early British explorers and during the decade that followed the few foreigners permitted into the country were guests of the royal family. It was not until the coronation of the fourth king in 1974 that a hotel was built and the first group of paying tourists arrived. Today, Bhutan continues to embrace a strict policy of high-value, low-impact tourism intended to preserve their national culture by deterring the budget travelers and backpackers that have so profoundly altered neighboring countries such as Thailand and Nepal. Though there is no longer a limit to the number of tourists Bhutan permits each year, every non-Indian foreigner must pay a minimum of US$200 per day, making it one of the world’s most expensive countries to visit.  The Royal Government of Bhutan requires foreign visitors to travel with a prepaid and preplanned itinerary, led by a certified local guide.  The daily tariff includes all your accommodation, food, land transport within Bhutan, services of guides and porters, and entrance fees to cultural sights and programs.  Tourists can arrange their own itinerary and are not required to travel in a group, but what you will not find in Bhutan is backpacker-style independent travel.
Per quanto mi riguarda, il cuore del viaggio è la ricerca e l'esperienza della contaminazione.

venerdì 10 giugno 2011

Perché la contraffazione fa bene alle grandi marche (e al Made in Italy, e alle case discografiche)

La vendita illegale di prodotti contraffatti non è del tutto negativa per le grandi firme, scrive la rivista americana Slate (Fake Prada bags: Why counterfeits help high-end designers sell more of the real thing) riportando i dati di uno studio dell'economista Yi Qian della Northeastern University. Apparentemente, ogni borsa Prada falsa acquistata per strada rappresenta per Prada un mancato guadagno; in realtà, però, la contraffazione non fa altro che diffondere il mito di Prada spostando nel contempo verso i prodotti di alta gamma l'attenzione di chi se li può permettere.

Il ragionamento è abbastanza semplice e si applica ai più diversi ambiti toccati dal fenomeno della contraffazione: l'alta moda, il made in Italy alimentare, l'industria musicale e cinematografica. Vediamolo in dettaglio, prendendo ad esempio il mercato delle borse Prada.

Prima di tutto, le borse contraffatte non rappresentano spesso un "mancato guadagno" per le griffe: chi acquista sulle bancarelle mostra infatti di non avere le risorse o di non tenere al prodotto al punto da accettare di investire nell'acquisto centinaia o migliaia di euro. I prodotti contraffatti, quindi, avvicinano alla griffe persone che altrimenti sarebbero rimaste lontane: persone che, più che clienti persi, sono da intendersi come possibili clienti potenziali un po' più vicini - se è vero che in molti casi essi si legheranno a questo status symbol fino ad ambire a prodotti non contraffatti e più elaborati. 

Moltiplicando il numero di prodotti del marchio in circolazione, inoltre, i prodotti contraffatti accrescono la popolarità del marchio. Il proliferare di prodotti a marchio Prada mostra a tutti quanto il marchio sia desiderato, e lo mantengono al centro della scena: mantengono viva quella tensione all'emulazione che è è una delle due forze fondamentali che spiegano il meccanismo della "moda". 

Innescando la tensione all'emulazione, la contraffazione innesca quindi anche la seconda forza fondamentale della moda: la differenziazione. Mentre la massa si industria per emulare il trend-setter, il trend setter - vedendo emulata la sua unicità - si industria per differenziarsi inventandosi qualcosa di nuovo: considerato il fatto che i modelli contraffatti sono spesso i modelli più "semplici" e meno costosi della gamma, la diffusione esponenziale di questi prodotti spinge in altre parole chi se lo può permettere a ripiegare sui modelli nuovi e di alta-gamma, più elaborati e meno facili da contraffare, nel tentativo di emergere tra gli altri. 

La contraffazione, banalizzando i prodotti di "bassa gamma", amplia la platea dei clienti potenziali e porta i consumatori più "militanti", alla ricerca di lusso ed esclusività, a spingere le proprie ambizioni verso prodotti sempre più particolari. Spingendoli a rinnovare la gamma, a moltiplicare le dotazioni, e a richiedere prodotti sempre più costosi.

giovedì 9 giugno 2011

Immigrazione. Il "mercato delle vacche" va bene finché è virtuale

Pino Rossi, sindaco di Gallio (2.000 abitanti, provicina di Vicenza), è salito agli onori delle cronache perché si è recato di persona nella struttura dove sono parcheggiati i 34 profughi che verranno smistati nei comuni del vicentino per scegliere di persona l'immigrato da ospitare nel proprio comune. Ha dichiarato ai giornali che dovrà corrispondere al seguente identikit: "Giovane e cristiano" ("Giovane e cristiano". Il sindaco si sceglie il profugo). Prima di farlo si è consultato anche con il parroco, evidentemente di più ampie vedute, che ha dichiarato di non condividere la sua volontà di scegliere le persone più giovani, ma si è trovato d'accordo "nel dire che un rifugiato di fede cristiana avrebbe meno difficoltà di integrazione, soprattutto in una realtà montana in cui non ci sono figure di riferimento per la fede islamica".

Alcuni sindaci di comuni vicini hanno protestato contro questa iniziativa: "non siamo mica al mercato delle vacche" hanno detto. Eppure, l'immagine di un sindaco che sceglie di persona l'immigrato da "ospitare" così come al canile si sceglie il randagio da regalare alla propria fidanzatina, non è poi troppo lontano dalla politica migratoria auspicata da molti (e già in parte messa in pratica in Italia). 

L'idea di definire delle quote divise per paese di origine, privilegiando i giovani scapoli provenienti dai paesi con i quali l'Italia ha stipulato accordi di collaborazione (per i rimpatrii) tenendo anche conto delle "affinità culturali", è infatti uno dei cardini del "modello italiano per la gestione delle migrazioni" messo nero su bianco dall'ex segretario Mantovano.

Non c'è poi molta differenza tra lo scegliersi di persona - sulla base di criteri inconsistenti - il migrante, come si trattasse di uno schiavo, di un cavallo o di un randagio, e tra l'istituire quote sulla base dei medesimi criteri (a partire dalle medesime presunte affinità culturali). Tuttavia, basta un tocco di virtualità, basta allontanare il momento della scelta dallo sguardo, per far passare tutto come perfettamente civile, lecito e "naturale".

mercoledì 8 giugno 2011

La Lobby degli anziani

Se nelle scorse presidenziali americane gli aghi della bilancia sono stati i giovani e gli immigrati ispanici, nelle prossime elezioni potrebbe rivelarsi decisiva la "lobby dei pensionati"

Il New York Times racconta di come gli Stati Uniti stiano assistendo all'acuirsi del conflitto tra due generazioni altrettanto abituate alla mobilitazione: da una parte i giovani, che a  premono per una riduzione della spesa sociale e per questo si avvicinano ai repubblicani, e dall'altra i combattivi over 50 che si mobilitano per difendere le loro tutele (Between Young and old a political collision).
Older voters have always tended to turn out more heavily than others at the polls, especially when they have issues at stake. But in the past, their generational differences with younger voters, at least in presidential voting, have been less clear. Now they are being mobilized by groups like AARP, which recently issued a national appeal to members.“You should not have to worry that you can’t afford to visit your doctor,” the appeal said. “We need to flood the halls of Congress with letters telling them to keep unfair cuts to Medicare and Social Security out of the discussion.”In just two weeks, more than 200,000 e-mails filled inboxes in Washington.Some experts say they believe a genuinely distinct older voting bloc could emerge. But either way, they say, there is no doubt that a season of political focus on the issues of aging — and a search by both parties for the allegiance of older voters — has begun.
Il ruolo di gruppi come l'AARP, vere e proprie lobby degli anziani, mi sembra particolarmente interessante. In Italia non esiste nulla di simile: gli interessi degli over 50 sono curati da quegli stessi sindacati e da quegli stessi partiti che devono riuscire a rappresentare anche gli interessi dei giovani e dei lavoratori, e che così devono necessariamente mantenere bassi i toni. Sindacati e partiti sono gli ultimi presidi che ci difendono dal dilagare del conflitto generazionale; chissà che tra le conseguenze del loro declino non ci possa essere - anche da noi - una imminente guerra tra giovani e anziani.

martedì 7 giugno 2011

Un'emergenza profughi vera. In Tunisia

Gli uomini e le donne rifugiate nelle tendopoli costruite nel deserto tra Libia e Tunisia sarebbero quasi 400.000: un'emergenza vera, al contrario di quella lamentata dall'Italia, che cade su un paese appena uscito da una rivoluzione politica. Il blog "gli Italiani di Cartagine" (Il lato oscuro dei campi profughi in Tunisia... tutto il mondo è paese) apre uno squarcio sulle proteste dei rifugiati (originari dell'Africa sub-sahariana fuggiti dalla Libia a causa della guerra e delle persecuzioni) che vivono nei campi profughi tunisini in condizioni difficilissime, e delle tensioni con esercito e locali (che vorrebbero rispedire "a casa loro" questi profughi africani).
La scorsa settiamana la protesta di rifugiati per la loro condizione si converte in tragedia. Bloccano le strade, danneggiano alcune macchine. La reazione della comunita di Ben Guerdene (citta' a due passi dal campo profughi) e' quanto mai violenta. In centinaia accorrono verso il campo seminando paura e distruzione, e quanto pare 6 morti. Questo video racconta questa storia. Secondo un funzionario di un'organizzazione internazionale 20 Nigeriani sono stati arrestati per le distruzioni delle macchine e per i vanalismi, nessun tunisino per l'attacco al campo. Sembra che l'esercito abbia chiuso un'occhio, c'e' chi parla di un ruolo attivo dell'esercito ai pestaggi. Il governo tunisino chiama al rimpatrio immediato degli Aficani.

lunedì 6 giugno 2011

Perché l'ONU sostiene la liberalizzazione delle droghe

Mettere in discussione cinquant'anni di politiche antidroga inefficaci e dannose, incoraggiando la sperimentazione di modelli di legalizzazione delle droghe. Queste le conclusioni cui è giunta la Global Commission on Drug Policy, assemblea presieduta da Kofi Annan ed organizzata dall'Onu, riferite in un lungo articolo di Repubblica (Droga, la svolta dei grandi del mondo. "E' il momento di legalizzarla"). Il report integrale lo trovate qui.

Secondo la commissione, che riunisce ex capi di stato, policy makers, opinion leaders e leader di organismi internazionali, è necessario "trattare i tossicodipendenti come pazienti e non come criminali". L'impronta della commissione, che significativamente riunisce politici (e non scienziati) in buon parte provenienti dall'America Latina (continente funestato dal potere dei cartelli della droga e dalle vere e proprie "guerre" intraprese dagli stati contro narcos e coltivatori) e dalle file dell'ONU, è infatti assolutamente pragmatica e non implica alcuna svolta libertaria: la liberalizzazione è intesa semmai come un modo efficiente per togliere potere alle organizzazioni criminali e per risparmiare risorse (oggi utilizzate nelle guerre ai narcos o nella lotta al piccolo spaccio) da riutilizzare poi nel trattamento dei "malati di tossicodipendenza".

Questa prospettiva può non piacere del tutto: che ne è della distinzione tra droghe pesanti e leggere, e dell'affermazione del diritto a consumare blande sostanze psicotrope a scopo ricreativo (come già avviene per l'alcol) che è storicamente centrale nelle vecchie (ma inconcludenti) campagne pro-legalizzazione? Trasformare il ragazzino che fuma lo spinello da "criminale" a "malato" costituirebbe davvero un progresso?

Ciò nonostante, l'emergere di un anti-proibizionismo pragmatico e nettamente contrario all'uso di droga, è da segnalarsi come positivo: se non altro, un segnale di buona volontà e di apertura dopo decenni di sterili muri, fucili spianati e demonizzazioni.

mercoledì 1 giugno 2011

E se i giovani non interessassero nemmeno più come consumatori?

Il blog America 2012, stimolato da un'analisi pubblicata sul New York Times (Tv Industry Takes Second Look at Olders viewers), riferisce di un cambiamento epocale delle strategie di marketing che pongono sempre più attenzione sui consumatori over 50 e sempre meno sui giovani (L'occidente è vecchio! Il marketing, negli USA, cambia strategia)

A pochi decenni da quella scoperta dei "giovani" (cioè quei soggetti economicamente autonomi ma non ancora oberati da spese e responsabilità, quindi propensi al consumo anche "frivolo") che ha spinto le aziende a dedicare grandi risorse per accaparrarsi questi consumatori (rendendo meno conservatrice la cultura popolare), gli esperti si sono accorti che oggi le galline dalle uova d'oro non sono più i ventenni e i trentenni bensì i cinquantenni ed i sessantenni

Il NYT racconta ad esempio di come i palinsesti televisi stiano cambiando, offrendo sempre più programmi adatti agli over 50 perché gli spazi pubblicitari rivolti a quel target fanno gola alle imprese. Il futuro del broadcasting, più che Youtube, è forse Rai Uno

I giovani, il cui potere di spesa è ai minimi storici, non sembrano interessare nemmeno più in quanto consumatori potenziali.